Santi Alfio,Filadelfo e Cirino fratelli
di sangue e martiri a Lentini in Sicilia insieme con i Santi Onesimo ed Erasmo
ed altri 14 compagni al tempo di
Decio tra il 250 e il 251
Tratto
da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90308
Le notizie che possediamo sulla vita e
sul martirio dei tre fratelli, Alfio, Filadelfo e Cirino, il cui culto è molto
diffuso in quasi tutta la Sicilia Orientale fin dall'alto medioevo, sono tutte
contenute in un documento, che gli studiosi delle vite dei Santi fanno risalire
al secondo decennio della seconda metà del secolo X, al 960 circa: si tratta di
una lunga e minuziosa narrazione scritta da un monaco, certamente basiliano, di
nome proprio Basilio, e con verosimiglianza a Lentini in provincia di Siracusa,
come si evince dalla precisa indicazione dei luoghi, delle tradizioni e dei
costumi della comunità là esistente. Il manoscritto, che si compone di più
parti, alla fine della terza parte si chiude con questo periodo, ovviamente in
greco: "Con l'aiuto di Dio venne a fine il libro dei SS. Alfio, Filadelfo
e Cirino, scritto per mano del monaco Basilio".
Il prezioso scritto si conserva nella Biblioteca Vaticana, segnato col numero 1591, proveniente dal monastero di Grottaferrata, nei pressi di Roma.
Secondo il manoscritto citato i nostri Santi hanno subito il martirio nella persecuzione di Valeriano e precisamente nel 253.
I tre fratelli sono nati a Vaste, in provincia di Lecce, il padre Vitale apparteneva a famiglia patrizia e la madre, Benedetta, affrontò direttamente e spontaneamente l'autorità imperiale per manifestare la propria fede e sottoporsi al martirio. Il prefetto Nigellione, giunto a Vaste per indagare sulla presenza di cristiani, compie i primi interrogatori e, viste la costanza e la fermezza dei tre fratelli, decide di inviarli a Roma insieme con Onesimo, loro maestro, Erasmo, loro cugino, ed altri quattordici. Da Roma, dopo i primi supplizi, vengono mandati a Pozzuoli, dal prefetto Diomede, il quale sottopone alla pena di morte Erasmo, Onesimo e gli altri quattordici e invia i tre fratelli in Sicilia da Tertullo, a Taormina; qui vengono interrogati e tormentati e poi mandati a Lentini, sede ordinaria del prefetto, con l'ordine che il viaggio sia compiuto con una grossa trave sulle spalle. I tre giovani sono liberati dalla trave da una forte tempesta di vento; passano da Catania, dove vengono rinchiusi in una prigione, che ancora oggi è indicata con la scritta "Sanctorum Martyrum Alphii Philadelphi et Cyrini carcer", in una cripta sotto la chiesa dei Minoritelli; in questo viaggio, secondo un'antica tradizione molto diffusa, confortata peraltro da un culto mai interrotto, sono passati per Trecastagni, perché la normale via lungo la costa era impraticabile a causa di una eruzione dell'Etna. Nel cammino da Catania a Lentini avvengono vari prodigi e conversioni: si convertono addirittura i venti soldati di scorta e il loro capo Mercurio, che Tertullo fa battere aspramente e uccidere. Entrando in Lentini i tre fratelli liberano un bambino ebreo indemoniato e ammalato, convertono alla fede molti ebrei che abitano in quella città e che successivamente sono condannati alla lapidazione. Presentati a Tertullo sono sottoposti prima a lusinghe e poi ad ogni genere di supplizi: pece bollente sul capo rasato, acutissimi chiodi ai calzari, strascinamento per le vie della città sotto continue battiture. Sono prodigiosamente guariti dall'apostolo Andrea e operano ancora miracoli e guarigioni fino a quando Tertullo non ordina che siano sottoposti al supplizio finale: Alfio con lo strappo della lingua, Filadelfo posto su una graticola rovente e Cirino immerso in una caldaia di pece bollente. I loro corpi, trascinati in un luogo detto Strobilio vicino alle case di Tecla e Giustina, e gettati in un pozzo, ricevono dalle pie donne sepoltura in una grotta, ove in seguito viene edificata una chiesa.
Il prezioso scritto si conserva nella Biblioteca Vaticana, segnato col numero 1591, proveniente dal monastero di Grottaferrata, nei pressi di Roma.
Secondo il manoscritto citato i nostri Santi hanno subito il martirio nella persecuzione di Valeriano e precisamente nel 253.
I tre fratelli sono nati a Vaste, in provincia di Lecce, il padre Vitale apparteneva a famiglia patrizia e la madre, Benedetta, affrontò direttamente e spontaneamente l'autorità imperiale per manifestare la propria fede e sottoporsi al martirio. Il prefetto Nigellione, giunto a Vaste per indagare sulla presenza di cristiani, compie i primi interrogatori e, viste la costanza e la fermezza dei tre fratelli, decide di inviarli a Roma insieme con Onesimo, loro maestro, Erasmo, loro cugino, ed altri quattordici. Da Roma, dopo i primi supplizi, vengono mandati a Pozzuoli, dal prefetto Diomede, il quale sottopone alla pena di morte Erasmo, Onesimo e gli altri quattordici e invia i tre fratelli in Sicilia da Tertullo, a Taormina; qui vengono interrogati e tormentati e poi mandati a Lentini, sede ordinaria del prefetto, con l'ordine che il viaggio sia compiuto con una grossa trave sulle spalle. I tre giovani sono liberati dalla trave da una forte tempesta di vento; passano da Catania, dove vengono rinchiusi in una prigione, che ancora oggi è indicata con la scritta "Sanctorum Martyrum Alphii Philadelphi et Cyrini carcer", in una cripta sotto la chiesa dei Minoritelli; in questo viaggio, secondo un'antica tradizione molto diffusa, confortata peraltro da un culto mai interrotto, sono passati per Trecastagni, perché la normale via lungo la costa era impraticabile a causa di una eruzione dell'Etna. Nel cammino da Catania a Lentini avvengono vari prodigi e conversioni: si convertono addirittura i venti soldati di scorta e il loro capo Mercurio, che Tertullo fa battere aspramente e uccidere. Entrando in Lentini i tre fratelli liberano un bambino ebreo indemoniato e ammalato, convertono alla fede molti ebrei che abitano in quella città e che successivamente sono condannati alla lapidazione. Presentati a Tertullo sono sottoposti prima a lusinghe e poi ad ogni genere di supplizi: pece bollente sul capo rasato, acutissimi chiodi ai calzari, strascinamento per le vie della città sotto continue battiture. Sono prodigiosamente guariti dall'apostolo Andrea e operano ancora miracoli e guarigioni fino a quando Tertullo non ordina che siano sottoposti al supplizio finale: Alfio con lo strappo della lingua, Filadelfo posto su una graticola rovente e Cirino immerso in una caldaia di pece bollente. I loro corpi, trascinati in un luogo detto Strobilio vicino alle case di Tecla e Giustina, e gettati in un pozzo, ricevono dalle pie donne sepoltura in una grotta, ove in seguito viene edificata una chiesa.
Tratto
da
http://sottolapietra.blogspot.it/p/i-tre-santi-a.html
Dopo la morte, la storia delle reliquie dei Tre
fratelli si avvolge nel mistero, allo stesso modo è strettamente collegata con
la storia di San Fratello.
Secondo gli storici fu Costantino,
tredicesimo vescovo di Lentini intorno al 787 d.C., che intimorito
dai pericoli di una imminente invasione musulmana, volle in gran segreto
il trasferimento delle sacre reliquie.
A questo punto ci sono diversi documenti
contradditori. Un documento ecclesiastico fa risalire al 1516 il
ritrovamento delle reliquie dei Tre Santi nel monastero di San Filippo di
Fragalà nel comune di Frazzanò, accompagnate da un manoscritto in
greco antico.
La storia ipotizzata dagli studiosi narra che fu lo
stesso Costantino Vescovo di Lentini a scrivere il manoscritto che accompagnava
le reliquie:
Nell'anno del Signore Nostro Gesù
Cristo, benedetto sia in eterno, io Costantino, vescovo dell'augusta Città di
Lentini, fui costretto con grande dolore a portare con me, tutte le venerate
reliquie dei Santi Patroni della chiesa Lentinese. I tempi in cui ho vissuto,
furono assai gravi e tristi per tutti i cristiani. I Musulmani sono ormai alle
porte della nostra amata terra di Sicilia. Anche la mia amata città è ormai in
pericolo. Per questo, in forza della mia autorità ho traslato i Santi
corpi dei miei Martiri, in luoghi più sicuri. Ho deciso pertanto di dirigermi,
notte tempo, verso il Monastero della Gran Madre di Dio, Santa Maria dei
Palati, della antica città di Alunzio, mia casa natale. Le gloriose
reliquie che accuratamente avvolsi in drappi liturgici e accuratamente chiusi
in casse con il presente scritto, sono dei miei diletti Santi
Protettori: Alfio, Filadelfo e Cirino e con loro
anche le gloriose Vergini e
Martiri Tecla, Giustina, Eutralia, Epifania, Eutropia,
Isidora, i valorosi compagni dei tre fratelli, i Martiri Onesimo, Erasmo,
ed ancora i Santi Cleonico, Caritone, Neofito, Mercurio,
i sette fratelli testimoni muti di Cristo e tanti Martiri
gloriosi. Diletti figli che vi accingete a venerare questi insigni fratelli
della fede, ricordatevi di me che dalla furia devastatrice dei mori li ho
salvati e pregate nostro Signore Gesù Cristo, perchè interceda presso il Padre,
Affinchè mi accordi il perdono dei miei peccati. Vi benedico Costantino
vescovo.
L'abate, informatone, si premurò di far tradurre il
documento che confermò essere quelle ossa i resti umani dei tre giovani
fratelli che erano stati martirizzati a Lentini. Grande fu la gioia dei monaci
che, dopo una solenne processione, conservarono le reliquie nella loro
chiesa, sotto l'altare da tempo consacrato ai tre martiri. La notizia ben
presto giunse a Catania e poi a Lentini, dove in breve rivendicarono
le reliquie dei Santi.
La spedizione decisiva giunse il 29
agosto 1517, di fronte al convento di Fragalà. Le reliquie furono alla
fine consegnate dall'abate agli ambasciatori Lentinesi.
A Lentini si narra che il 2 settembre 1517,
ottanta cavalieri entrarono al galoppo in città portando la cassetta con le
reliquie dei santi Alfio, Filadelfo e Cirino. Questa fu consegnata ai sacerdoti
della chiesa di Lentini e dopo una solenne processione custodita nella Chiesa
dei Martiri.
Seguendo l’ipotesi degli storici, è probabile che a
San Fratello le ossa furono portate dai monaci basiliani di San Filippo di
Fragalà per sottrarli alle devastazioni arabe, giunte ormai anche alle porte
del monastero. Non ci sono informazioni per capire se le ossa furono portate
presso una costruzione o sotterrati in un punto indicato. Resta il fatto che la
tradizione del luogo narra che fu un pastore a ritrovare le Sacre Reliquie dopo
che in sogno S. Alfio gli aveva indicato il luogo esatto dove scavare. Un'altra
storia attribuisce il ritrovamento direttamente ai Normanni che ripopolarono il
Monte Vecchio intorno all’anno 1000.
Da tutto ciò si potrebbe dedurre che le ossa
nonostante ebbero vita breve nel territorio di San Fratello, vestirono un ruolo
significativo visto che nel XII secolo alcuni indizi ci fanno supporre già
della presenza del Santuario dei Tre Santi sul Monte Vecchio e l’affermazione
della denominazione “Tre Santi Fratelli/San Filadelfio” nel territorio
dell’attuale San Fratello.
Sarebbe ragionevole pensare che, dopo il
ritrovamento, le ossa tornarono al monastero di San Filippo di Fragalà e solo
parte di queste reliquie vennero lasciate alla vicina città ai piedi della
Roccaforte. Ma si pongono delle domande: "A Lentini nessuno sapeva
nulla di questo ritrovamento?"
Visto che il reclamo ufficiale avvenne solamente
dopo il ritrovamento del 1516 presso il monastero di San Filippo di Fragalà.
Da un’ipotetica data del XII secolo fino al
fatidico 1516 ci sono vari testi che indicano il territorio di San Fratello già
dedicato ai Tre Santi: "E' possibile che nessuna spedizione fu inviata
alla ricerca delle ossa dei Santi?"
Tratto da
http://www.lentinionline.it/lentini_ss_santi.htm
La Storia dei
Martiri: I
fratelli, Alfio, Filadelfo e Cirino nascono da Vitale e Benedetta, genitori
cristiani, nel III secolo d.C., nella cittadina di Vaste in provincia di
Lecce. Furono Martiri della persecuzione romana contro i Cristiani, accusati
all'epoca di provocare la generale rovina in cui era caduto l'impero romano.
Nel 250 l'imperatore Decio emano' un editto con cui si esigeva che ogni
persona sospettata di cristianesimo dovesse offrire incenso ad una qualsiasi
divinita' romana, compreso l'imperatore. Il rifiuto di adorare l'imperatore
sarebbe stato in sostanza il rifiuto di sottomettersi all'impero e i
recalcitranti sarebbero stati condannati a morte. Ed in questo contesto storico
alla fine del 251, mentre era a capo dell'impero Treboniano Gallo, succeduto
a Decio, un plotone di soldati romani si presentarono a Vaste in Puglia nella
casa patrizia di Vitale e Benedetta da Locuste. Hanno l'ordine di tradurre in
catene i loro 3 giovani figli, rei di avere elusa la legge con la continua
testimonianza di quella fede che avevano assimilato in famiglia. Vennero prima
interrogati da Nigellione, delegato dell'imperatore per l'Italia meridionale,
il quale, impotente a fiaccarne le loro convinzioni, li fece trasferire a Roma,
convinto che, lontani dall'influenza del loro precettore Onesimo, sarebbero
stati piu' cedevoli ai voleri delle autorita' imperiali. Qui giunti e rinchiusi
nel carcere Memertino ai piedi del Campidoglio, subiscono un altro processo ad
opera del prefetto Licinio, conclusosi con un nulla di fatto. Ma, se da un
canto non si vuole infierire sui tre giovani fratelli, espressione di una delle
piu' ragguardevoli famiglie dell'impero, dall'altro si pretende la loro
sottomissione. Ecco perche' vengono trasferiti a Pozzuoli, ove neanche
Diomede riesce a piegarli e successivamente in Sicilia, ove dettava legge Tertullo,
giovane patrizio romano, che destinato come preside dell'isola, aveva
acquistato fama di funzionario integerrimo ed autoritario. Sbarcati a Messina
il 25 agosto del 252, i 3 fratelli subiscono un primo processo a Taormina, poi
durante il loro doloroso e lungo pellegrinaggio, passano da Trecastagni,
alle falde dell'Etna e infine vengono condotti a Lentini, sede di una
delle dimore preferite da Tertullo, che per spezzarne la resistenza li volle a
se vicini il 3 settembre 252, giorno del loro arrivo, affidandoli al suo
vicario Alessandro, con il compito di sostituirlo nell'opera di
persuasione durante i giorni in cui sarebbe stato fuori citta'. Viveva allora a
Lentini Tecla, di nobile famiglia e ricca proprietaria, cugina di
Alessandro e da oltre 6 anni colpita da paralisi alle gambe. Appunto per
questo, saputo dei prodigi in nome di Cristo, che durante il tragitto da Roma a
Lentini, avevano accompagnato i 3 fratelli,chiese al cugino di poter incontrare
quei giovani per un ultimo tentativo di implorare, loro tramite, la sua
guarigione. Richiesta che, dato l'immenso affetto che Alessandro nutriva per
Tecla, venne esaudita con suo grande rischio in uno dei giorni di assenza di
Tertullo. I 3 fratelli rimasero commossi alla vista di quella bella giovane
immobilizzata sul letto le promisero che avrebbero pregato per lei. Durante la
stessa notte a Tecla comparve in sogno l'apostolo Andrea che, segnatala con un
segno di croce, la rassicuro' che sarebbe guarita grazie all'intercessione di
quei giovani incarcerati da Tertullo. Cosi' fu. Ella si sveglio' guarita ed
ancora con la complicita' dello sbigottito Alessandro, si volle recare subito
al carcere per ringraziare i 3 giovinetti che d'allora continuo' a visitare
ogni giorno di nascosto, assistendoli, confortandoli e portando loro da
mangiare. La sua opera di assistenza purtroppo duro' poco, giacche' Tertullo,
arresosi di fronte allo loro inflessibile costanza nella fede in Cristo, emano'
la sua inappellabile sentenza, seguita dall'immediata esecuzione: dopo averli
fatto girare ammanettati e frustati per le vie di Lentini, esposti allo scherno
della plebe inferocita ed urlante, ad Alfio venne strappata la lingua,
Filadelfo fu bruciato su una graticola, Cirino fu immerso in una caldaia di
olio bollente. Era il 10 maggio del 253 ed Alfio aveva 22 anni e 7 mesi,
Filadelfo 21, Cirino 19 e 8 mesi. Su ordine di Tertullo i loro corpi,
martirizzati e privi di vita, furono legati con funi e trascinati in una foresta,
chiamata "strobilio" per la gran quantita' di pini esistenti. Le
spoglie vennero buttate in un pozzo secco, vicino alla casa di Tecla, che
,ormai convertita alla religione di Cristo, nella notte tra il 10 e 11 maggio,
accompagnata dalla cugina Giustina e da 11 servi cristiani tra cui 5 donne,
estrasse i corpi e, trasportatili in una campagna vicina, diede loro degna
sepoltura, sfruttando una piccola grotta che e' quella esistente ancora nella
chiesa di Sant'Alfio e sulla quale successivamente nel 261, placatesi le
persecuzioni, venne eretto un grande tempio ed essi dedicato. Ancora oggi il
9,10 e 11 maggio di ogni anno si ricorda il martirio con una solenne festa che coinvolge
l'intera popolazione di Lentini.
La Chiesa e i
Martiri: Si concludeva cosi' la breve vita terrena dei tre Santi, ma il loro
sangue non era stato versato invano: costitui' il seme di quella Chiesa
Leontina che ebbe il privilegio di essere elevata a sede vescovile, privilegio'
che tenne sino al 790. Il primo vescovo di Lentini fu Neofito, nuovo nome di
quell'Alessandro, vicario di Tertullo, convertitosi anch'egli al cristianesimo
e consacrato dallo steso Sant'Andrea nel 259. Seguirono Rodippo (290), Crispo
(305), Teodosio Maratonide (338), Feliciano (372), Herodion (407), Teodosio (438),
Crescenzio (496), Luciano I (538), Alessandro (600), Lucido (643), Luciano II
(649), Costantino (787), con cui si chiude la serie storicamente accertata. Fu
appunto quest'ultimo, intimorito dai pericoli di una imminente invasione
musulmana, a volere in gran segreto il trasferimento delle sacre reliquie nel
suo convento di Fragala' al principio del 9° secolo. e da allora i lentinesi
non ne ebbero piu ' notizie. Sino al 22 settembre del 1516 quando alcuni
operai, nell'abbattere un muro del monastero di Fragala', trovarono nascosta in
un sacco di tela una cassetta contenente ossa umane ed un manoscritto in greco
antico. Informato l'abate, questi si premuro 'di far tradurre il documento che
confermo 'essere quelle ossa i resti umani dei 3 giovani fratelli che erano
stati martirizzati a Lentini. Grande fu la gioia dei monaci che, dopo una
solenne processione, conservarono le reliquie nella loro chiesa sotto l'altare
da tempo consacrato ai 3 martiri. La notizia ben presto giunse a Catania e poi
a Lentini, dove si decise di mandare 5 sacerdoti ed 1 laico alla Badia di
Fragala' per sondare gli umori di quei monaci e nello stesso tempo per studiare
la topografia del convento nel caso si dovesse optare per un ricorso alla
forza. La missione non ebbe purtroppo un esito felice: sulla loro richiesta i
monaci non si pronunciarono apertamente, avallarono diritti, chiesero di
sentire prima i loro superiori. Al ritorno a Lentini questa presa di posizione
fu illustrata dagli sconfitti ambasciatori ai loro concittadini che, desiderosi
di avere al piu' presto i resti dei propri Martiri protettori, votarono
all'unanimita' in assemblea di armare una spedizione per avere con la forza
quello che non erano riusciti ad ottenere con la forza di quella legge naturale
che dava loro il diritto al possesso delle sacre reliquie. Questa, al comando
di Giovanni Musso, giunse sul far della notte del 29 agosto, di fronte al
Convento di Fragala'. Dopo aver bussato ripetutamente e rassicurato i monaci
delle loro intenzioni, i lentinesi, visti vani i tentativi di pacifico accesso,
decisero l'azione di forza. In breve entrarono nel cortile. Ai monaci,
impauriti per quella brusca invasione di armati, parteciparono ancora una volta
il nobile scopo della loro missione, che altro non era di ritornare in possesso
delle reliquie dei loro Santi protettori; reliquie che alla fine furono loro
consegnati dall'abate. il 2 settembre 1517 quindi, 80 cavalieri entrarono al
galoppo a Lentini, accolti dagli applausi, e portavano, sorretta da "fra
servo di Dio" la cassetta con le reliquie dei Santi Alfio, Filadelfo e
Cirino. Questa fu consegnata ai sacerdoti della chiesa di Lentini e dopo una
solenne processione custodita nella Chiesa dei Martiri. Ma se il cittadino
lentinese era stato soddisfatto nelle sue aspirazioni, la chiesa leontina, non
poteva chiudere questo capitolo dell asua nobile storia con quell'atto di forza
'extra legem'. Mando' vari doni ai monaci di Fragala' e successivamente,
tramite alla brillante arringa di difesa di Don Costantino, inviato espressamente
dal senato Lentinese in Vaticano, chiese e ottenne dal sommo pontefice Leone X
la conferma della titolarita' del possesso delle reliquie e la remissione di
ogni censura.
Leggere anche
I Santi Martiri di Lentini
http://www.centamore.it/TreSanti/I_Santi_Martiri.asp
LA STORIA DEI SANTI MARTIRI: ALFIO FILADELFO E CIRINO
http://www.webalice.it/tedevi/salfio/LA%20STORIA%20DEI%20SANTI%20MARTIRI.htm
10 MAGGIO SANTI FRATELLI ALFIO,FILADELFO E CIRINO, MARTIRI A LENTINI Canone del tono IV ( senza acrostico) Di San Bartolomeo il Giovane da Rossano
sta in
Sante Tecla Giustina vergini ed Isidora martire a Lentini (tra il 250 e il 260
Tratto da http://ordovirginumsicily.blogspot.it/2012/01/le-sante-vergini-consacrate-del-mese-di_19.html
Tecla e Giustina nacquero,
vissero e morirono a Lentini città in provincia di Siracusa, nell’arcidiocesi
di Siracusa. Erano cugine di ricca e nobile stirpe. Isidora, madre di Tecla,
fervente cristiana, subì il martirio e la figlia, colma di fervore per
l’esempio della madre, si consacrò a Dio nella verginità, dedicandosi alla cura
e alla protezione dei cristiani perseguitati. Ma una malattia che le paralizzò
le gambe la costrinse a rimanere a letto per sei lunghi anni. Intanto, a
Lentini, al cospetto di Tertullo, arrivarono in catene tre giovani cristiani:
Alfio, Filadelfo e Cirino. Alessandro, ministro di Tertullo, informò la
cugina Tecla del potere taumaturgico dei tre santi fratelli. Ed ella, mossa dal
desiderio, chiese di poterli incontrare. In gran segreto ebbe modo di pregare
con loro e di ascoltare la loro esortazione a mantenere salda la fede. Per
grazia di Dio Tecla ritornò a camminare e, in segno di riconoscenza, si impegnò
a visitarli di nascosto portando loro conforto materiale e consolazione
spirituale, curando le loro ferite dovute alle continue torture e dando loro,
alla fine, degna sepoltura in una grotta di sua proprietà. In questa esemplare
opera di misericordia fù accompagnata dalla cugina Giustina, che cieca da un
occhio ebbe la grazia della guarigione. Quando cessarono le persecuzioni
le stesse pensarono di costruire due chiese: una sopra la tomba dei santi
fratelli martiri e l’altra dedicata alla beata Vergine Maria, cercando, insieme
al cugino Alessandro, convertitosi al cristianesimo, di ravvivare la vita della
comunità cristiana di Lentini. A tal proposito Tecla scrisse una lettera al
vescovo di Roma affinchè tale comunità potesse ritornare ad essere guidata da
un degno Pastore. Fu designato a tale missione proprio Alessandro e quando
Everio, vescovo di Catania, presiedette la celebrazione di dedicazione della
Chiesa della Vergine Maria, vedendo Tecla prostatasi dinanzi, esclamò: "Godi,
o Signora, che hai consumato il corso delle prove e hai mantenuto la fede,
gioisci amica dei martiri, compagna dei santi, che servisti nella loro vita e
in loro memoria templi innalzasti. Sei veramente beata perché hai trovato la pace:
Cristo Signore." Entrambe le sante resero serenamente lo spirito il 10
gennaio , Giustina nel 262 e Tecla nel 264 d.C. . La volta della Chiesa madre
di Lentini è arricchita da un affresco in cui Giustina è al fianco di Tecla, la
loro effige è anche rappresentata sulle ante del prezioso armadio della
sagrestia. Non si trova più la loro menzione nel nuovo Martirologio
Romano, tuttavia ad ottobre la contrada Santuzzi, nel comune di Carlentini, al
confine con quello di Lentini, festeggia come Santa Patrona e titolare della
parrocchia S. Tecla vergine lentinese.
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