5 Febbraio. San Luca di Demenna o d'Armento
memoria del nostro Padre tra i Santi Luca di Demenna o d'Armento
memoria del nostro Padre tra i Santi Luca di Demenna o d'Armento
San
Luca nacque in Sicilia, a Demenna (Castrogiovanni oggi Enna ), e fu avviato
all'ascesi nel monastero di S. Filippo d'Agira dove si formarono anche altri
famosi monaci greci del sec. X.
Per sfuggire alle vessazioni dei Saraceni, che avevano conquistato l'isola attraversò lo stretto e andò a mettersi sotto la disciplina di s. Elia Speleota di Reggio. Ma ben presto anche la zona dell'Aspromonte divenne meta delle incursioni saracene, per cui egli prese la via del Nord fino a raggiungere la famosa eparchia monastica del Mercurion, ai confini tra Calabria e Lucania, meta di tutti i santi italo-greci del sec. X.
Fondò una laura nel territorio di Noia (Noepoli), dove restaurò la cadente chiesa di S. Pietro e dimorò con i suoi discepoli per sette anni, praticando il piú rigoroso ascetismo e dandosi ai lavori dei campi, sí da cambiare il deserto in giardino. Desideroso di maggiore solitudine, passò nel territorio di Agromonte, presso il fiume Agri, dove restaurò il monastero di S. Giuliano. Prestò la sua opera di cristiana carità ai soldati feriti nel conflitto tra i Saraceni e i Tedeschi di Ottone II; fortificò il castello di Armento e la chiesa della Madre di Dio, lasciandone la custodia ai propri discepoli. Di qui ebbe origine intorno al 971 il celebre monastero dei SS. Elia ed Anastasio del Carbone, che divenne il quartiere generale di s. Luca sia come baluardo fortificato contro le incursioni dei Saraceni, sia come palestra dei molti miracoli, che egli vi operò.
Qui Luca morí assistito da s. Saba di Collesano il 5 febbraio 995 e fu sepolto nella chiesa del monastero, dove ebbe culto pubblico.
Per sfuggire alle vessazioni dei Saraceni, che avevano conquistato l'isola attraversò lo stretto e andò a mettersi sotto la disciplina di s. Elia Speleota di Reggio. Ma ben presto anche la zona dell'Aspromonte divenne meta delle incursioni saracene, per cui egli prese la via del Nord fino a raggiungere la famosa eparchia monastica del Mercurion, ai confini tra Calabria e Lucania, meta di tutti i santi italo-greci del sec. X.
Fondò una laura nel territorio di Noia (Noepoli), dove restaurò la cadente chiesa di S. Pietro e dimorò con i suoi discepoli per sette anni, praticando il piú rigoroso ascetismo e dandosi ai lavori dei campi, sí da cambiare il deserto in giardino. Desideroso di maggiore solitudine, passò nel territorio di Agromonte, presso il fiume Agri, dove restaurò il monastero di S. Giuliano. Prestò la sua opera di cristiana carità ai soldati feriti nel conflitto tra i Saraceni e i Tedeschi di Ottone II; fortificò il castello di Armento e la chiesa della Madre di Dio, lasciandone la custodia ai propri discepoli. Di qui ebbe origine intorno al 971 il celebre monastero dei SS. Elia ed Anastasio del Carbone, che divenne il quartiere generale di s. Luca sia come baluardo fortificato contro le incursioni dei Saraceni, sia come palestra dei molti miracoli, che egli vi operò.
Qui Luca morí assistito da s. Saba di Collesano il 5 febbraio 995 e fu sepolto nella chiesa del monastero, dove ebbe culto pubblico.
Tratto da https://noepolidettieusanze.files.wordpress.com/2015/10/san-luca-di-armento.pdf
VITA DI SAN LUCA DI ARMENTO
Forse pochi tra noi sanno che a Noepoli, in un'epoca
molto lontana dalla nostra, ha soggiornato per ben sette anni un grande santo
del medioevo il quale in seguito, per la vita frenetica che allora caratterizzava
il nostro piccolo borgo e per la gran quantità di gente che abitava quei luoghi
divenuti oggi silenziosi e scarsamente abitati, ha deciso di allontanarsene,
cercando rifugio altrove. Il suo
nome era Luca.
Ma conosciamolo meglio attraverso uno scritto di un
certo Gaetani di Caltanissetta che ha elaborato
una piccola biografia sul santo. Luca nacque intorno
al 910 a Demenna (l'attuale Enna), centro fortificato della Val Demone, regione
nordorientale della Sicilia,
da una famiglia di nobile stirpe. Il
padre si chiamava Giovanni e la madre Ietibia. Su
fratello Fantino fu uno dei maestri di san Nilo di Rossano. Fin dalla giovane
età Luca avvertì forte il desiderio di seguire il Cristo, divenendo monaco
basiliano sotto la guida dell'abate san Saba del
convento di san Filippo di Agria. Già all'inizio del noviziato si distinse per
il suo zelo ed anche per una certa vena artistica che apprese da un pittore
suo amico. Non rimase a lungo in Sicilia perché,
conosciuta la fama di un monaco eremita di nome Elia lo Speleota
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che viveva nei pressi di Reggio Calabria, volle
raggiungerlo e mettersi alla sua
sequela. Il giovane novizio, con grande impegno e
fatica, iniziò ad imitare le eroiche virtù del maestro: profonda umiltà, carità
ardente, rigidissima astinenza. Intorno al 950 abbandonò la terra di
Calabria e si diresse verso la Basilicata,
stabilendosi a Noja (Noepoli), luogo insalubre e selvaggio,dove trovò una
chiesetta in rovina dedicata a san Pietro che restaurò e dipinse. Non sappiamo
oggi
di quale chiesa si tratti, né possiamo essere certi
del luogo in cui Luca risiedette, ma possiamo
supporre, e ci piace pensare, che i volti di quegli
affreschi emersi dai restauri degli ultimi anni nella nostra Chiesa Madre,
portino la sua impronta o,quantomeno, siano i vestigi di una presenza viva e attiva
del monachesimo bizantino nei nostri luoghi. A Noepoli Luca fondò anche una
“laura”, ossia
un cenobio di monaci pii, tutti dediti alla preghiera
e al lavoro nei campi grazie al quale bonificarono molti luoghi paludosi,
rendendo la zona più ricca di colture e più prospera. La fama del monaco presto
si sparse in tutta l'area, tanto che la solitudine con Dio alla quale era
votato,
fu interrotta e disturbata dalle visite di tanti
fedeli che, conosciuta la sua santità, accorrevano a lui per
impetrare grazie. Accade spesso che il monaco,
rifuggendo il mondo, finisca per attirare il mondo asé. Luca, a causa di ciò,
fu costretto a lasciare la castellania di Noja, per recarsi in zone più
solitarie
e meno frequentate, dove la sua celebrità era ancora
sconosciuta. Spinto dall'esigenza della solitudine, il sant'uomo si recò nei
pressi di Grumento, dove trovò un convento diroccato, detto di
san Giuliano, che subito provvide a restaurare e nel
quale raccolse molti eremiti della zona,fondando un nuovo cenobio con l'intento
di aiutare i poveri e di soccorrere i diseredati. Come
sempre capita a quelli che elargiscono i loro averi
agli altri senza curarsi di accumulare tesori su questa terra, più Luca e i
suoi monaci dispensavano beni ai poveri, più la prosperità del cenobio
cresceva. Un arrogante principe di nome Landolfo,
proprietario di molti possedimenti nei pressi di
Grumento, infastidito dalla prosperità dei monaci,
decise di attaccare il convento e distruggerlo. Ma il superbo signore non
realizzò mai il suo esecrabile disegno perché, prima che fosse messo in
opera, morì (956). Nel 970, in seguito alle incursioni
saracene che, dopo la Calabria, raggiunsero anche parte della Basilicata, il
beato asceta lasciò Grumento e si trasferì nei pressi di Carbone dove
era ubicato un altro monastero basiliano intitolato a
sant'Anastasio Persiano, un monaco martire.
Giunto nel nuovo sito, Luca dovette subito provvedere
sia alla ricostruzione del convento, sia alla riedificazione degli animi dei
monaci ivi residenti che, ormai abbandonati a se stessi, presi dall'accidia e
dai piaceri della carne, avevano smarrito la via evangelica per seguire i loro
istinti.Luca riuscì, con l'ardore della sua parola e del suo esempio, ad
infervorare i monaci, ridando lustro al cenobio. Ma le incursioni saracene si
fecero sempre più frequenti e presto raggiunsero anche
Carbone. Così, il povero archimandrita dovette
provvedere a mettere in salvo se stesso e i suoi seguaci. Si spostò quindi verso Armento
(972), dove trovò un castello arroccato, detto di Palombaro, ben fortificato e
perciò difficile da espugnare. Qui l'abate sistemò i suoi monaci e costruì una
chiesetta dedicata alla Vergine Maria e a san Pietro. La fiamma della carità
che gli ardeva nel petto si diffuse attraverso la sua opera di soccorritore:
sovveniva ai bisogni dei poveri,consolava gli afflitti, sanava gli infermi da
molte malattie con l'utilizzo di erbe medicinali allora ben conosciute dai
monaci che, per questo, possono essere considerati i primi farmacisti o
speziali della storia; con le loro conoscenze in campo erboristico, infatti,
riuscivano a curare molte infermità e ad alleviare le sofferenze di chi ad essi
accorreva. I saraceni, che intanto avevano occupato molti territori della
Basilicata, non tardarono ad arrivare alla rocca di Palombaro. Giunti lì,
assediarono la
torre in cui si era rifugiato Luca insieme ai suoi
monaci. Il beato padre, non avendo i mezzi necessari per rigettare gli arabi
oltre la fortezza, ricorse all'arma della preghiera per ottenere da Dio
il soccorso sperato. La storia narra che mentre Luca
pregava incessantemente, il Signore gli apparve, incitandolo a non temere i
saraceni, ma a sfidarli perché Egli sarebbe stato con lui.
Rincuorato dalla visione, il coraggioso monaco, con
alcuni confratelli scelti tra i più vigorosi, decise di affrontare i
Selgiuchidi inferociti e, armato di spada e cavallo, li sconfisse
miracolosamente,
ridonando quiete al proprio convento e agli armentani.
Qualche tempo dopo, il valoroso asceta venne raggiunto presso Armento dalla
sorella Caterina che, rimasta vedova, divenne monaca basiliana e abadessa di un
convento sito presso la chiesa di santa Maria, poco fuori dal centro
abitato, precedentemente edificata dal fratello.
Caterina portò con sé anche i suoi figli Antonio e Teodoro che divennero entrambi
monaci Sono molti i miracoli compiuti in vita da Luca, a testimonianza delle
meraviglie che Dio aveva operato in lui.
Ritornando un giorno dalla consueta visita ai
monasteri, l'archimandrita, stanco e
ormai molto anziano, venne rapito in un'estasi durante
la quale un angelo gli rivelò il giorno della sua morte dicendogli:
<<Luca, uomo di Dio, presto cammina, sollecita i passi perché Dio vuole
che tu lasci questa vita mortale e passi agli eterni godimenti; hai abbastanza
patito per amor suo, già vuole che riposi per sempre >>. Giunto al
convento, il pio anacoreta si pose nel letto e, recitando
sacri inni, rese l'anima al suo Signore il 13 ottobre
993.
Raffaele Carlomagno
.
Per ulteriori approfondimenti sull'argomento si
consiglia la bibliografia di segito riportata:
FONTI BIBLIOGRAFICHE.
–Vita s. Lucae abbatis Armenti, in
Vitae sanctorum Siculorum , a cura di O. Gaetani,
Panormi 1657, II, pp. 96-99;
Idem , in Acta sanctorum Octobris , VI, Parisiis-Romae
1868, pp. 337-342;
D.G. Lancia di Brolo,
Storia della Chiesa in Sicilia , II, Palermo 1884, pp.
414-417;
G. Da Cost–Louillet,Saints de Sicile et d'Italie
méridionale aux VIII e Ix et X
Siècles , in Byzantion, XXIX-XXX (1959-60), pp.
142-146;
–
S. Borsari,
Il monachesimo bizantino nella Sicilia e nell'Italia
meridionale prenormanne ,
Napoli 1963, pp. 50 s.;
–
A. Acconcia Longo,
Santi greci della Calabria meridionale, in
Calabria bizantina.
Testimonianze d'arte e strutture di territori. Atti
dell'VIII e IX Incontro di studi, Reggio Calabria( 1985 e 1988, Soveria
Mannelli 1991, pp. 211-230;
Santi monaci italogreci alle origini del monastero di
S. Elia di Carbone
In Boll. Della Badia
greca di Grottaferrata , n.s., XLIX-L (1995-96), pp. 132-138;
S. Caruso,
Sicilia e Calabria nell'agiografia storica italo-greca
, in Calabria cristiana. Atti
del Convegno di studi, Palmi-Cittanova( 1994, a cura
di S. Leanza, Soveria Mannelli 1999, pp.572-581;
"Crucisque signo munitus". L. da Dèmena e l'epopea
antisaracena italo-greca,in
Byzantion, LXXIII (2003), 2, pp. 319-338
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