venerdì 31 marzo 2017

Santi Sikelia primo millennio mese di aprile


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saints pour le 3 avril du calendrier ecclésiastique

Saint PANCRACE, disciple de l'apôtre Pierre, évêque de Taormina en Sicile et martyr (Ier siècle). 

 Saint ATTALE, higoumène à Taormina en Sicile (vers 800). 

 Saint JOSEPH l'Hymnographe, Sicilien de nation, moine à Thessalonique, confesseur des saintes Icônes sous Théophile (886). (Office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome IV du Supplément aux Ménées, à la date du 4 avril.) 

Il 6 aprile si festeggiano i santi italo-greci: Filarete ed Elia di Palermo MONACI E MARTIRI 

 

saints pour le 9 avril du calendrier ecclésiastique

Une sainte cohorte de Juifs convertis martyrs à Lentini en Sicile sous Dèce (entre 249 et 251). 

saints pour le 18 avril du calendrier ecclésiastique

Saint ELEUTHERE, évêque de Messine en Sicile (ou évêque de l'Illyrie?), martyr avec sa mère sainte ANTHIE et ONZE autres sous Adrien (130?).


saints pour le 25 avril du calendrier ecclésiastique

 Saints EVODE, HERMOGENE et CALLISTE (CALLISTA), martyrs à Syracuse. 

 Saint ROBERT, abbé à Syracuse en Sicile (vers le VIIIème siècle). 

 

 

 



 

 

 

 

mercoledì 29 marzo 2017

30 Marzo san zosimo vescovo di siracusa Saint ZOSIME, évêque de Syracuse en Sicile (vers 640-altra memoria il 21 gennaio



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Santo Zosimo vescovo di Siracusa(verso il 640)

Esercitava un'umile funzione nel monastero di Santa Lucia, a Siracusa, perchè considerato incapace di qualsiasi incombenza importante. Quando morì l'abate, il Vescovo, sorprendentemente, lo designò per la carica. Governò con tanta saggezza e virtù che finì per essere eletto Vescovo della città.



Martirologio Romano  

A Siracusa, san Zosimo, vescovo, che fu dapprima umile custode della tomba di santa Lucia, poi abate del monastero del luogo.

tratto da  
Antonio monaco Ombre della storia santi dell’Italia ortodossa-pagina 66-pagina 67 


http://www.asterios.it/sites/default/files/Ombre%20della%20storia%20pagine%203-100.pdf


Sin dall’infanzia Zosimo era stato allevato nel Monastero di Santa Lucia, dove poi rivestì l’abito monastico20 ed ebbe l’incarico di prosmonario, di custode delle reliquie della martire siracusana. In seguito – nella cattedrale della città (allora, il tempio di San Giovanni Evangelista) – fu ordinato ieromonaco, sacerdote monaco dal vescovo Giovanni di Siracusa (già arcidiacono di Catania) e benedetto igumeno, andando a prendere il posto del defunto san Fausto. Alla morte del vescovo Pietro (successore di Giovanni), a Siracusa scoppiò un violento contrasto tra la tifoseria degli Azzurri e quella dei Verdi 21 : questi, filo-monoteliti, avrebbero voluto eleggere vescovo un certo Venerio, ma – grazie alla mediazione del greco Teodoro I, papa di Roma Antica [642\9] – prevalse il candidato degli Azzurri, Zosimo. Angelico padre dei poveri, egli fece restaurare nell’isola  Ortigia un antico monumento: il tempio di Atena (eretto dai Dinomenidi nel 5° secolo avanti Cristo), che il vescovo Stefano aveva dedicato alla Nascita della Theotokos e che era stato devastato dai Vandali; nello stesso tempio si conserva tuttora (oggi è la cattedrale dei Latini) la vasca delle Immersioni, fatta scolpire da Zosimo. Particolare interessante: sembra che Zosimo conoscesse abbastanza bene la lingua latina che, in effetti, da poco (sotto gli Eraclidi) era stata abbandonata come lingua ufficiale dell’Impero romano. Altro dato interessante: nei calendari, Zosimo è ricordato – nello stesso giorno – con san Massimo, il Confessore della fede ortodossa (perseguitato da quel Costante II che si era stabilito a Siracusa negli anni 663\8), il quale dall’esilio in Georgia aveva incitato i monaci ortodossi della Sicilia alla lotta contro l’eresia.



Tratto da

http://www.santiebeati.it/dettaglio/47850



Zosimo, vescovo (VII secolo) era un giovane monaco cui era stata affidata per la sua inettitudine la custodia della tomba di Santa Lucia a Siracusa. Un giorno, desideroso di rivedere i genitori, lasciò il monastero senza avvertire i superiori. I genitori, vedendolo arrivare con aria di fuggitivo, lo rimproverarono e lo riaccompagnarono al monastero. Venne perdonato dall'abate e riconsegnato al suo compito di "guardiano della tomba", che tenne a lungo perché considerato incapace di altre e più impegnative mansioni.
Alla morte dell'abate, i monaci si recarono dal vescovo per conoscere il nome del successore. Fra loro non c'era Zosimo, rimasto a casa come "inutile". Quando il vescovo ebbe davanti i monaci, chiese: "Ci siete tutti?". "No, - risposero - a casa c'è il guardiano della tomba di santa Lucia, ma è di poco conto". "Fatelo venire" ingiunse il vescovo. E quando Zosimo arrivò: "Ecco il vostro abate" affermò solennemente il vescovo.
Così Zosimo, tra la sorpresa di tutti, divenne abate del monastero dimostrando presto di quanta saggezza e virtù fosse ricco, a tal punto che il popolo lo volle quale proprio vescovo. Confermato da papa Teodoro, egli rimase sulla cattedra episcopale siracusana dal 647 al 662 guidando la diocesi con bontà e saggezza



TRATTO DA http://www.antoniorandazzo.it/santisiracusani/san-zosimo.html



Zosimo nacque da agiati parenti, che l'ottennero da Dio con grandi preghiere. Quando ebbe compiuto l'età di sette anni, lo vollero dedicare al servizio di Dio nel monastero benedettino di Santa Lucia al quale, insieme col figlio, offrirono in dono un podere, che avevano lì presso.
Era allora abate del monastero Giovanni, di cui è menzione nel Regesto di S. Gregorio Magno nel luglio del 597; il quale morì poco dopo e gli successe Fausto che dal biografo è detto "santo, ricco di meriti e di virtù, di cui Zosimo si studiava di imitare la vita e i costumi".
Da lui Zosimo, ancor giovane, fu deputato alla custodia del sepolcro della santa. Preso però dall'amore dei parenti, fuggì a casa loro; ma essi, pii e buoni cristiani, lo persuasero a lasciarsi ricondurre al monastero. Qui la notte in sogno gli parve vedere la Santa, che adirata gli minacciava castighi per averla abbandonata. Ripresa la vita monastica, si diede con grande fervore all'esercizio delle virtù, specialmente della purezza, per la quale spiccò sopra tutti. Dopo aver passato trent'anni in questo tenore di vita, sempre crescendo in perfezione, venne a morire il suo abate San Fausto, pieno di anni e di meriti. Dovendosi passare alla scelta del successore, alcuni sollecitavano questa dignità; ma poi i monaci pensarono di rimettere l'elezione al Vescovo che era allora San Giovanni, cui il Papa del tempo S. Gregorio Magno aveva affidato incarichi per tutta la Sicilia perchè ben conosceva "di quale gravità, mansuetudine e santi costumi egli fosse". Si recarono perciò tutti a trovarlo, tranne Zosimo, che, alieno da ogni ambizione, era rimasto nelle sue consuete preghiere al sepolcro di Santa Lucia.
Il Vescovo, avuti tutti i monaci dinanzi a sè, chiese loro se mancasse alcuno. Gli fu risposto: nessuno. Avendo ripetuto la domanda la seconda e la terza volta, i monaci risposero: nessuno, tranne l'ostiario del monastero.
Fattolo venire, il Vescovo lo accolse con grande onore e riverenza e lo elesse Abate con grande stupore dei monaci, uno dei quali esclamò: "Si è avverato oggi il detto del profeta Isaia: Sopra chi riposerà il mio spirito, se non nell'umile, e sopra colui che teme la mia parola?" Il medesimo Vescovo ordinò Zosimo sacerdote della Chiesa della Beata Vergine Maria, che era la Cattedrale.

Zosimo tenne l'ufficio di abate del monastero di S. Lucia per ben quarant'anni e diede tali prove di prudenza, di zelo e di ogni virtù che era da tutti ritenuto come uomo consumato nella difficile arte di governare. Venuto a morte il Vescovo di Siracusa, la maggior parte del Clero e del popolo voleva, come successore, Zosimo, stimatissimo per le sue virtù; altri, giudicandolo come uomo semplice e di poca levatura nelle cose del mondo, preferivano un certo Venerio. Non potendosi mettere d'accordo, i rappresentanti delle due parti, coi rispettivi eletti, furono a Roma. Era allora Sommo Pontefice S. Teodoro (642-649), il quale scelse Zosimo, che non voleva affatto quel peso e accettò per le insistenze di Elia, che fu suo arcidiacono e poi suo successore.
Consacrato Vescovo, fu accolto con grandissima letizia da tutta la città, che in breve tempo divenne un solo ovile sotto la guida del santo pastore. Quanto era superiore agli altri per la dignità e i meriti, tanto si faceva inferiore con l'umiltà. Unicamente sollecito della salute spirituale del suo gregge, lo amministrava con la parola e più con l'esempio, nell'esercizio delle virtù, specialmente della carità; sicchè, dice il suo biografo, egli era assai più amato per la sua mansuetudine che non gli altri per il loro rigore.

Narra il suo diacono Giovanni, che facevagli da segretario, che un giorno gli si presentò un povero, chiedendo l'elemosina. Zosimo ordinò a Giovanni che gli desse due monete. Avendogli quegli risposto di non averne, gli ingiunse di vendere il mantello e darne il ricavato al mendico. Mormorando il diacono per l'ordine troppo gravoso, Zosimo si tolse dalle spalle il suo mantello che era nuovo e gli ordinò di venderlo immediatamente. In quel mentre arrivò un giovane che, messosi in ginocchio ai suoi piedi, gli lasciò una buona somma di danaro. Il santo Vescovo riprese il gretto animo e la poca fede del suo diacono.

Benchè Vescovo e vecchio, non tollerava che alcuno lo servisse, ma faceva ogni cosa da sè. Un prete, di nome Mauro, che aveva cura della sua casa e gli era molto caro, vedendolo un pomeriggio dormicchiare sulla sedia molestato dalle mosche, prese un flabello e le cacciava. Come egli se ne accorse, lo sgridò dicendogli di impiegare piuttosto quel tempo nella preghiera.
Era assiduo nell'amministrare e nell'ammonire tutti i fedeli affidati alle sue cure. Restaurò il tempio in onore della Beata Vergine che era la sua Cattedrale; nella quale, dice il suo biografo, offriva il santo Sacrificio e faceva le sue preghiere. Avendolo splendidamente adornato e arricchito, lo consacrò l'anno quinto del suo episcopato e ottantaduesimo anno di età, con grandissima solennità e infinita allegrezza del popolo.

Gli ebrei, che erano allora numerosi in Siracusa, vedendo ciò, volevano riedificare la loro sinagoga, distrutta poco prima in una incursione dei saraceni, ma egli non lo permise. Nell'ultima malattia fu visitato da Euprassio, cubiculario dell'imperatore; il quale, vedutolo giacere sopra poverissima stuoia, gli fece portare degli eleganti trapunti. Il santo vi giacque un poco, ma poi ordinò di venderli e darne il denaro ai poveri. Tornato Euprassio, e vedendolo di nuovo su quella povera stuoia, gliene mosse lamento, ma Zosimo gli disse che in essa riposava meglio che in qualunque altro morbido letto.

Finalmente dopo tredici anni di episcopato e novanta di vita, avendo prima predetto al suo arcidiacono Elia che gli sarebbe succeduto, preso da febbre, placidamente spirò.
La Chiesa greca e latina onora la sua memoria nel 30 marzo, che forse fu il giorno della sua morte. I funerali furono solennissimi e tutti i cittadini cercarono di toccare il feretro e di averne qualche reliquia. Vi si operarono guarigioni miracolose, e il biografo cita i nomi delle persone e si appella ai testimoni, che erano ancora viventi.

Testo tratto da:
Profili di Siracusani Illustri
Mons. Giuseppe Cannarella

lunedì 27 marzo 2017

28 marzo Santo Conone monaco ed igumeno italo greco a Naso in Sicilia,uno degli ultimi testimoni della presenza ortodossa in Sicilia(verso il 1236 )


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Santo Conone monaco ed igumeno italo greco a Naso in Sicilia,uno degli ultimi testimoni della presenza ortodossa inSicilia(verso il 1236 )

Tratto  dal quotidiano Avvenire



Cono, o Conone, Navacita nacque a Naso (Messina), nel 1139, figlio del conte normanno Anselmo, governatore della città. Ancora ragazzo abbandonò la casa, le ricchezze e si ritirò nel locale convento di San Basilio. Trasferito al Convento di Fragalà, nel comune di Frazzanò, ebbe come maestri spirituali san Silvestro da Troina e san Lorenzo da Frazzanò, che lo prepararono al sacerdozio. Conone, dopo l'ordinazione, continuò a manifestare segni di vocazione all'eremitaggio e, col permesso dei superiori, si ritirò in una grotta, che prese il nome di Rocca d'Almo. Ben presto la sua fama di santità superò i confini di Naso. Richiamato al monastero dai suoi superiori, fu eletto abate. In seguito, al ritorno a Naso da un pellegrinaggio in Terra Santa, elargì ai poveri la ricca eredità del padre e si ritirò nella grotta di San Michele. La città era afflitta da un morbo contagioso: i nasitani si rivolsero allora all'abate che li liberò dalla malattia: del miracolo vi è ricordo nello stesso stemma della città. Morì a 97 anni: era il 28 marzo 1236, Venerdì Santo. Canonizzato nel 1630, san Cono è patrono di Naso, i cui abitanti ancora oggi davanti alle reliquie pronunciano l'invocazione «Na vuci viva razzi i san Conu



Martirologio Romano: A Naso in Sicilia, san Cono, monaco secondo la disciplina dei Padri orientali, che, di ritorno da un pellegrinaggio ai luoghi santi, avendo trovato defunti i suoi genitori, distribuì tutto il suo patrimonio ai poveri e ed abbracciò la vita eremitica



Tratto da

http://www.capodorlandonline.it/Cdo_informa/San_Cono.htm

San Cono nacque il 3 giugno 1139, durante il regno di Ruggero II. I suoi genitori erano Anselmo Navacita e Claudia o Apollonia Santapau, appartenenti a famiglie agiate di Naso, e il bambino alla nascita fu battezzato Conone.

I genitori avevano riposto in lui grandi speranze, poiché sarebbe dovuto diventare l'erede che avrebbe continuato nel tempo il casato dei Navacita. Man mano che il bambino cresceva, però, cominciarono ad affiorare in lui atteggiamenti volti più alla Chiesa che alle occasioni mondane.

All'età di 15 anni, Conone, ascoltando la Messa, rimase colpito da diverse espressioni del Vangelo: "Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me" (Mt 10,37); "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua" (Lc 9,23); "Chi non rinunzia a tutto quello che possiede, non può essere mio discepolo" (Lc 15,33).

Seppur combattuto tra la volontà di seguire Cristo e quella di non abbandonare i suoi genitori, Conone decise infine di presentarsi al Monastero di San Basilio, vicino a Naso, dove venne accolto. Qui diede prova della sua virtù, del suo amore per la preghiera e per la penitenza, della sua disponibilità anche nello svolgere i servizi più umili.

Successivamente venne mandato al convento di Fragalà, presso il comune di Frazzanò, dove conobbe San Silvestro da Troina e San Lorenzo da Frazzanò. Tanta fu la dedizione di Conone che i superiori gli proposero (e poi gli imposero) di accedere al Sacerdozio.

Dal momento che amava la vita contemplativa, riuscì ad ottenere dai superiori di vivere nella Grotta di Rocca d'Almo, dove si nutriva di erbe selvatiche, dormiva sul terreno e, giorno e notte, poteva dedicarsi alla preghiera ed alla penitenza.

Nel frattempo l'Abate del Convento di San Basilio dovette allontanarsi, e invitò il Padre Conone Navacita a tornare per sostituirlo; Conone, suo malgrado, ritornò in Convento. Ma poiché il Padre Superiore non poteva più tornare, i confratelli all'unanimità elessero Conone come Abate, nonostante fosse ancora giovane. Più avanti, nacque in lui il desiderio di visitare i Luoghi Santi e, ottenuti i permessi, intraprese un lungo viaggio alla volta di Gerusalemme.

Tornato a Naso, venne a sapere la triste notizia della morte dei suoi genitori, ed essendo rimasto l'unico erede del loro patrimonio, lo vendette donando l'intero ricavato ai poveri. Dopo una breve permanenza nel Monastero, poté quindi ritirarsi definitivamente nella grotta detta di S. Michele e riprendere la sua vita da eremita.

Ma la sua quiete fu turbata ancora una volta: una giovane fanciulla di Naso di nobile casato era caduta in peccato con un giovane, rimanendo così nel disonore. Ma ella incolpò l'Eremita dell'accaduto, nonostante la sua tarda età e la fama di santità di cui già godeva. Conone fu denunziato al Governatore e trascinato davanti al giudice che, nonostante le pacate risposte dell'Eremita, lo condannò ad essere spogliato nudo e fustigato in pubblica piazza. Ma quando fu spogliato, comparve un corpo esile, coperto di piaghe, con il cilicio ai fianchi e al petto. il vecchio Abate fu allora riaccompagnato in massa dal popolo osannante nella grotta da cui, ingiustamente, era stato prelevato.

San Cono morì il 28 marzo 1236, un Venerdì Santo, durante il regno di Federico II di Svevia. Secondo la leggenda, improvvisamente a Naso si sentirono suonare le campane, senza essere toccate da nessuno. I nasitani accorsero nella grotta di Conone per chiedere spiegazioni, ma lo trovarono, già morto, in estasi e sollevato da terra



Tratto da .

http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-cono_(Dizionario-Biografico)/
 Probabilmente nacque nel 1139 a Naso, in provincia di Messina, da un nobile uomo d'armi e da una nobildonna.

Nulla di C. sappiamo al di fuori di quanto viene riferito dalla tradizione agiografica.

Della più antica biografia, una vita greca attribuita a un contemporaneo e conservata secondo la tradizione sino al XVI sec. con le reliquie del santo, ci resta oggi solo la traduzione latina (in Bibl. hagiogr. Lat., Suppl., n. 1943d) di F. Maurolico.

Secondo l'anonimo, agiografo, l'avere udito "chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me" (Marteo 10, 37) avrebbespinto il giovane C. a rinunziare a un'agiata vita mondana e a entrare nel monastero dei monaci di S. Basilio nei pressi di Naso.

Dopo qualche tempo egli decise di recarsi a Gerusalemme dove, ammonendolo di restituire il mai tolto ai fedeli, avrebbe salvato un prete corrotto al quale un serpente serrava la gola. Al ritorno in Sicilia trovò i genitori morti, sicché decise di donare i suoi beni ai poveri. Benché conducesse una vita cenobitica, fu accusato da una fanciulla di averla ingravidata; il prefetto ordinò che fosse battuto in pubblico, ma, una volta spogliato, dal corpo di C. cadde uno dei tanti vermi che da tempo, a causa dei cilici, prosperavano tra le sue carni; palese quindi l'innocenza di C., anche perché "non potea esser reo di delizie colui che dispiaceva in si fatta guisa la sua carne" (G. Perdicari, p. 261). L'agiografo attribuisce alla fanciulla, come punizione, l'essere stata presa dal demonio, e a C. il gesto, di averla liberata. Il prestigio di C. aumentò poi con la guarigione del figlio del prefetto di Naso, al quale, colpito da apoplexia capitis, avrebbe estratto dall'orecchio un verme della lunghezza di un palmo.

Infine, motivo ricorrente nelle vite dei santi, quando morì, il 28 marzo 1236 a Naso, le campane della città avrebbero suonato senza che nessuno le toccasse.

I nasitani accorsero alla sua dimora per consultarlo, ma lo trovarono morto. Altro topos: C. esalava un odore soave e teneva in mano una tabella nella quale auspicava la liberazione di Naso da ogni tirannide. Il corpo venne tumulato dapprima nel sacrario della chiesa di S. Michele Arcangelo e in seguito nella chiesa a lui dedicata.

Dalle successive biografie, caratterizzate da una più o meno discreta amplificatio che però raramente è controllabile attraverso il ricorso alle fonti, è possibile trarre altri dati, che a volte sono testimonianza dell'evolversi del culto, altre, come nel caso dell'arciprete A. Portale, frutto di  apologetica. Il padre di C. si sarebbe chiamato Anselmo Navacita, la madre Apollonia o Claudia Santa Pau (ma il Perdicari ricorda che i Santa Pau, originari dell'Aragona o della Catalogna, arrivarono in Sicilia solo nel 1387); il luogo dell'eremitaggio si sarebbe chiamato Rocca d'Almo. Quasi tutte le biografie attribuiscono a C. almeno quattro miracoli: nel 1504 le reliquie guariscono Susanna Cardona, contessa di Golisano e signora di Naso; nel 1518 egli libera Naso dalla peste; nel 1544 appare in visione ai Turchi che assediano Naso e li mette in fuga; nel 1571, per evitare che Naso fosse colpita da una grave carestia, dirotta su Capo d'Orlando una nave carica di grano. Infine va ricordato un episodio in cui problemi agiografici e aspetti più propriamente popolari del culto sono strettamente connessi. Il Perdicari racconta di un trafugamento delle reliquie di C. per mano del conte di Tigano, calabrese, al quale il santo, di ritorno da Gerusalemme, aveva guarito il figlio. Dopo grandi proteste le reliquie furono restituite ai Nasitani; non al completo però, dato che i Palermitani avrebbero approfittato di una sosta nella loro città per trattenerne una parte.

La restituzione veniva festeggiata sia a Palermo sia a Naso il 3 giugno, giorno in cui però a Diano Marina si festeggia un s. Cono dell'Ordine di S. Benedetto (e sotto quella data i bollandisti ne riportano la vita). A questo si aggiunga che agli inizi del sec. XIV alcuni monaci messinesi identificavano il C. festeggiato il 3 giugno nel martire s. Conone d'Iconium, sicché è sinora rimasta senza risposta la domanda che si poneva il Delehaye, se cioè non sia stata la somiglianza dei nomi a determinare questa data, e se il martire del 3 giugno non sia stato soppiantato in seguito, dal confessore omonimo. Le altre feste ricorrono il 28 marzo, data della morte, e il 1° settembre, data questa d'inizio dei miracoli, secondo il Gaetani (1617, p. 132), e della traslazione delle reliquie nella chiesa di S. Cono secondo il Portale (1938, p. 276).

Fonti e Bibl: Sulla vita di C.:O. Gaetani, Idea operis de vitis Siculoruni sanctorum famave sanctitatis illustrium, Panormi 1617, pp. 12, 56, 110, 132;G. G. Cuffaro, Vita del glorioso s. C. nasitano. Poema sacro, Messina 1636; O. Gae tani, Vitae sanctorum Siculorum, Panormi 1657, II, p. 67 (Animadversiones);F. Carrera. Pantheon Siculum sive sanctorum Siculorum elogia, Genova 1679, pp. 66 ss.; G. Perdicari, Vita dei santi siciliani, Palermo 1688, pp. 258-270;G. Filoteo Degli Omodei, Sommario degli uomini illustri di Sicilia, in G. Di Marzo, Biblioteca storica e letteraria di Sicilia, XXV, Palermo 1877, p. 41;A. Portale, Cenni sulla vita di s. C. abate basiliano cittadino e patrono di Naso, Palermo 1936; Id., La città di Naso e il suo illustre figlio s. C. abate, Palermo 1938; P. Burchi, C. di Naso, in Bibliotheca Sanctorum, IV, Roma 1964, col. 149;C. Incudine, Naso illustrata. St. illustr. di una civiltà munic., a cura di O. Buttà, Milano 1975, pp. 17 ss., 120 ss., 191 ss., 334, 355, 358 s.; Acta Sanctorum, Martii, III, 3, pp. 733 ss.; Encyclopédie théologique, XL, p. 647. Sui problemi agiografici: O. Delchaye, Un sinaxaire italo-grec, in Analecta Bollandiana, XXI (1902), pp. 26 s.; F. Halkin, recens. ad A. Portale, cit., ibid., LVII (1939), pp. 434ss. Sulle feste in generale si cfr.: L. Sciascia. Feste religiose in Sicilia, in La cordapazza. Scrittori e cose della Sicilia, Torino 1970, pp. 184-203; si cfr. inoltre: G. Crimi Lo Giudice, Fra proprietari e Moni. Costumanze nasitane, in Arch. per lo studio delle tradiz. popol., IX (1890), p. 534; Id., La festa di s. C. in Naso, ibid., XIII (1894), pp. 379-386; G. Pitrè, Feste patronali in Sicilia, Torino-Palermo 1900, pp. 207-211; Dizionario ecclesiastico, I, p. 709; M. V. Brandi, in Bibliotheca Sanctorum, IV, coll. 149 s. (s. v. C. di Naso).


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giovedì 23 marzo 2017

Santi di Sikelia primo millennio al 24 marzo


Saint SEVERE, évêque de Catane en Sicile (vers 800).




 San Severo vescovo di Catania. Nella cronotassi ufficiale della Diocesi è inserito al diciannovesimo posto. Succede a Teodoro menzionato nel 787.
San Severo, nell’elenco dei vescovi diocesani non è documentato storicamente, ma è noto solamente grazie ad alcuni testi agiografici scritti tra VIII e il IX secolo.
La tradizione ci tramanda il suo episcopato tra gli anni 802 e 814.
Governò la diocesi santamente, con la parola e l’esempio, meritando somma lode da tutti.
Su San Severo ci sono rimaste solo delle citazioni circa la sua memoria nel Menologio del Cardinale Sirleto e nei Menei del Codice Mazar della Nazionale di Parigi.
I Bollandisti lo citano così: “24 marzo – memoria del N.S.P. Severo, vescovo di Catania città della Sicilia”.
Nelle moderne liste dei vescovi di Catania sono stati inseriti anche un altro San Severo (o Everio) al secondo posto e un San Severino al quarto posto. Secondo lo storico, Francesco Lanzoni «potrebbero essere una retroproiezione del santo vescovo Severus il cui episcopato si colloca agli inizi del IX secolo».
Nel battistero della basilica di Maria Santissima dell’Elemosina, meglio conosciuta come basilica collegiata di Catania, si venerava una sua immagine.
La sua festa liturgica si celebra il 24 marzo.

 http://www.santiebeati.it/dettaglio/46790

San Severo è stato, probabilmente, uno degli ultimi Vescovi di Catania di rito greco. Il suo ministero pastorale è stato esercitato tra l' 802 e l'816, sotto l'impero di Niceforo. Governò la diocesi santamente, con la parola e l’esempio, meritando somma lode da tutti. San Severo ha realizzato una chiesa dedicata alla SS. Madre di Dio "Odighitria". Di lui si venerava un'immagine su legno cioe' un icona, presso la chiesa di S. Maria "de Elemosina"(Eleusa) e se ne faceva memoria solenne il 24 marzo, suo probabile dies natalis

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Elementi per la ridefinizione della cronotassi dei vescovi di Catania di età paleocristiana e bizantina, in Synaxis XXX/2, 2012, pp. 247-261.

sta in

 https://www.academia.edu/2540430/Elementi_per_la_ridefinizione_della_cronotassi_dei_vescovi_di_Catania_di_et%C3%A0_paleocristiana_e_bizantina_in_Synaxis_XXX_2_2012_pp._247-261

mercoledì 22 marzo 2017

Santi di Sikelia primo millennio al 23 Marzo








TRATTO da
http://www.ortodossia.it/w/index.php?option=com_content&view=article&id=5595:23-03-memoria-del-santo-martire-nikon-e-d-altri-con-lui&catid=197:marzo&lang=it

Militare nato a Napoli o di stanza a Napoli, scampato a un sanguinoso scontro, attribuì la salvezza al Dio dei cristiani, al quale credeva la madre; disertò quindi l’Esercito e si nascose nell’isola di Chios, deciso ad arruolarsi nell’esercito dei redenti. A Chios Nikon incontrò il vescovo Teodoro di Cizico, anch’egli latitante insieme con altri cristiani, e da lui fu immerso nel Lavacro della divina Illuminazione. Consacrato poi vescovo dallo stesso Teodoro, Nikon abbandonò Chios e si recò a Mitilini, da dove tornò a Napoli: pare durante il regno di Filippo l’Arabo, tra il 244 e il 249, il primo imperatore cristiano. Ucciso però Filippo e salito al potere Decio, acerrimo nemico dei cristiani, Nikon con altri scappò da Napoli e si nascose in Sicilia, tra i ruderi d’un antico stabilimento termale, nelle gole del fiume Onobala, detto oggi Alcantara; scoperto, fu decapitato insieme ai suoi compagni.


 San Nicone nacque attorno a Napoli e visse al tempo del governatore Quinziano, sua madre era cristiana e suo padre pagano. Sentendosi in grave pericolo durante una battaglia invocò il soccorso del Signore, Dio di sua madre, fece il segno della croce e andò incontro ai nemici: gli avversari furono sconfitti e messi in fuga e Nicone tornò a casa tra l'ammirazione generale, ma ormai il Santo preparava nuovi progetti per la sua vita. Dopo aver svelato le sue intenzioni alla madre si imbarcò per Costantinopoli e arrivato nell'isola di Chio si ritirò presso una collina e vi rimase sette giorni in digiuno e preghiera, fino a quando un angelo non gli disse di raggiungere la riva. Il Santo obbedì e lì trovò una barca con la quale, in due giorni, raggiunse il Monte Gano. Qui incontrò casualmente il vescovo del luogo, vestito come un monaco, che lo portò con sé nella grotta dove abitava, lo istruì, lo battezzò, gli conferì i Sacramenti e dopo tre anni lo ordinò sacerdote e infine vescovo. Il Santo poi, avendo appreso da una rivelazione che il Monte Gano stava per essere invaso e devastato da pagani, insieme ai monaci che erano rimasti con lui dopo la morte del precedente vescovo, si recò in Sicilia e si ritirò sui montei intorno a Taormina. Nel 273, quando il governatore del luogo sentì parlare di lui e della sua fede, lo convocò assieme ai suoi monaci e dopo averli interrogati, lasciò che morissero torturati.

tratto da 
 http://www.calendariobizantino.it/calendario-4.1395529200.0.html



Saint NICON, originaire de Naples, prêtre et martyr en Sicile avec CENT NONANTE-NEUF disciples lors de la persécution de Dèce (251). (Office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome III des Ménées.) 

http://www.johnsanidopoulos.com/2010/03/holy-martyrs-nikon-and-190-monks-with.html


Troparion — Tone 4

By your ascetic way of life / you conquered the crafty one, Holy Father Nikon. / By virtue of your holy life you became a rule and model to your disciples, / and with them you struggled for the Faith in the West. / You have all attained glory in heaven.

Kontakion — Tone 8

Of like discipline with the Ascetics, and rivaling the holy Athletes in zeal, / you were offered to the Lord through martyrdom, steadfast and righteous Martyrs. / As your sure guide you had the glorious Nikon; / fighting together with him you sang: Alleluia.
 
 
https://doxologia.ro/sfantul-cuvios-mucenic-nicon-cei-199-de-ucenici-ai-lui

 

lunedì 20 marzo 2017

Santi di Sikelia al 21 Marzo


NOSTRO PADRE TRA I SANTI GIACOMO, VESCONO DI CATANIA, IL CONFESSORE.

http://oca.org/saints/lives/2014/03/21/100858-st-james-the-confessor-the-bishop-of-catania

Tratto da
(traduzione dall’inglese   di Joseph Fumusa )

San Giacomo, Vescovo e Confessore, si mostrò incline alla vita ascetica fin dai suoi primi anni.  San Giacomo lasciò il mondo ed entrò nel monastero di Studion, dove fu tonsurato. Condusse una vita severa, piena di opere, digiuno e preghiera. Pio e gran conoscitore della Scrittura, San Giacomo venne elevato al trono episcopale di Catania (Sicilia).

Durante il regno dell’imperatore iconoclasta Costantino V Copronimo (741-775), San Giacono fu sollecitato ripetutamente a non venerare le sacre icone. Lo hanno logorato in carcere, lo hanno affamato e picchiato, ma sopportò coraggiosamente tutti questi tormenti. San Giacomo morì in esilio.












Troparion — Tone 5

Shining forth in holy abstinence, / you rightly rightly divide the inspired word of truth as a hierarch and minister of God the Word. / By your virtuous struggle you revealed and confirmed the grace granted to you, O James, / instructing all to venerate the image of the Savior, / to whom you pray for us all.

Kontakion — Tone 8

You excelled in the gifts of the priesthood, / and through your labors You became illustrious in confessing the faith. / Since you are a fruitful branch of Christ the True Vine, / grant the new wine of forgiveness and salvation to those who cry: / “Rejoice, O Father James! 
 
 





Saint BIRILLE ou BERILLE (VIRILOS), natif d'Antioche, disciple du saint apôtre Pierre et évêque de Catane en Sicile (vers 90). 


Saint Cyril was born in Antioch. He was a disciple of the Apostle Peter (June 29, January 16), who installed him as Bishop of Catania in Sicily. St Cyril wisely guided his flock; he was pious, and the Lord granted him the gift of wonderworking. By his prayer the bitter water in a certain spring lost its bitterness and became drinkable. This miracle converted many pagans to Christianity. St Cyril died in old age and was buried in Sicily.
 


Santo Berillo antiocheno di nascita , discepolo di San Pietro e Vescovo di Catania(verso il 90 )

Tratto da
http://www.cattedralecatania.it/s_berillo.aspx

L’Annuario diocesano 2010 nell’affermare che il cristianesimo a Catania si è diffuso rapidamente e che sotto le persecuzioni di Decio e di Diocleziano, nel sec. III, ha versato il suo sangue, per la fede, la vergine Agata e agli inizi del sec. IV ne ha seguito l’esempio il diacono Euplo, precisa che “recenti studi critici dichiarano priva di ogni valido fondamento la tradizione locale che dice primo vescovo di Catania S. Berillo di Antiochia (di Siria), ordinato da S. Pietro e venuto in questa città etnea nel 42”, mentre la diocesi è storicamente documentata a cominciare dal sec. V. L’edizione del 2000, in occasione del Grande Giubileo, riportava che, nonostante per la sede episcopale catanese, come per le altre dell’isola, non si hanno notizie certe se non tra gli inizi del 4° secolo e le soglie del 6°, la tradizione, tuttavia, consolidatasi in seguito alla conquista bizantina, ha ritenuto come primo vescovo Berillo inviato dall’apostolo Pietro ad evangelizzare Catania, nel 42.
Si deve tener presente quanto afferma lo storico della Chiesa mons. Gaetano Zito, preside dello Studio Teologico interdiocesano di Catania, autore dell’opera “Storia delle Chiese di Sicilia” (LEV, 2009). “La fondazione delle diocesi e l’istituzione della gerarchia ecclesiastica in Sicilia”, scrive a pag. 29, “per secoli sono state datate alla prima metà del primo secolo dell’era cristiana e attribuite a una precisa decisione dell’apostolo Pietro che avrebbe ‘ordinato’ alcuni suoi discepoli per inviarli appositamente ad evangelizzare l’isola: Berillo a Catania, Marciano a Siracusa, Pancrazio a Taormina”. “A favore di tale attribuzione”, prosegue il professore, “può supporsi che abbia influito l’affermazione di papa Innocenzo I (401-417)…: anche in Sicilia nessuno ha fondato Chiese se non coloro che l’apostolo Pietro o i suoi successori hanno costituito vescovi. Da tempo ormai la storiografia ha ampiamente dimostrato inconsistente tale ipotesi ed ha acquisito la certezza che, allo stato delle fonti, la struttura ecclesiastica della Sicilia, con vescovi e sedi episcopali ad oggi storicamente certi, va data ad un periodo successivo all’età apostolica”. “La tradizione retrodata fino al 42 … poggia su un apparato documentario risalente al VII-IX secolo, nel periodo cioè della piena bizantinizzazione dell’isola. Tale tradizione ha supporti assai dubbi e appartiene ad un preciso genere letterario, elaborato per attribuirsi l’apostolicità della sede episcopale nel confronto con le Chiese bizantine, per determinare la supremazia della propria sede sulle altre dell’isola e per sostenere che la loro fondazione precedeva anche quella della comunità cristiana di Roma”.
“Né è possibile ricavare dati certi dalla scarna notizia di Luca sulla sosta dell’apostolo Paolo a Siracusa (Atti 28,12) nel suo viaggio verso Roma, nel 59”, aggiunge lo storico, “Nei tre giorni di sosta vi avrà certamente predicato Gesù Cristo. L’episodio, però, non è prova della diffusione del cristianesimo. Non riconsegna la certezza di una locale comunità cristiana, sia all’arrivo di Paolo che dopo la sua partenza, al contrario di quanto il testo degli Atti degli apostoli annota per Pozzuoli, dove ‘trovammo alcuni fratelli’ (28,12). Indicazione che sarebbe stata annotata anche per Siracusa se la predicazione di Marciano, per incarico di Pietro, vi fosse effettivamente accaduta prima, come ritiene la tradizione”. Lo studioso, a proposito della diocesi di Catania, a pag. 357, conferma quanto già affermato: “La tradizione ha identificato il primo vescovo con un certo Berillo, del quale si afferma che nel 42 sia stato ordinato vescovo ad Antiochia da Pietro e da questi appositamente inviato ad evangelizzare Catania. Di lui si fa menzione come protovescovo catanese nella vita di Leone il Taumaturgo dell’VIII secolo, nella Vita di Pancrazio di Taormina, in due testi liturgici del IX secolo (Canoni attribuiti a Teofane Siciliano e a Giuseppe Innografo) che lo esaltavano come primo vescovo petrino. E’ ormai acquisito che la datazione di Berillo non è sostenibile: sia per la cronologia più accreditata della vita di S. Pietro, sia per le difficoltà interne alla comunità apostolica in merito all’apertura ai pagani. La tradizione su Berillo, di conseguenza, è priva di certezza e si presenta come una ricostruzione agiografica redatta nella Catania di fine sec. VIII e inizio sec. IX, quando ormai la città era pienamente soggetta al patriarcato di Costantinopoli e mirava accreditare, presso le Chiese d’Oriente, la fondazione apostolica della sua Chiesa per ottenere l’elevazione a sede arcivescovile e metropolitana. Tuttavia, alla luce di quanto accaduto per Marciano di Siracusa, storicamente attestato ma non come vescovo ordinato anche lui da Pietro ad Antiochia bensì in un tempo successivo a quello sancito dalla tradizione, e cioè almeno tra il sec. III e il sec. IV, potrebbe non escludersi del tutto la storicità di Berillo, collocandolo però nello stesso periodo di Marciano”.
Giuseppe Murabito, postulatore generale dei Missionari oblati di Maria Immacolata, alla voce “Berillo” della Bibliotheca Sanctorum risalente agli inizi degli anni Sessanta del Novecento, scrive che “secondo il Martirologio Romano, che lo commemora il 21 marzo, e i sinassari greci, Berillo, originario di Antiochia, sarebbe stato ordinato vescovo da S. Pietro e mandato a governare la Chiesa di Catania”. “Ma”, continua l’agiografo, “queste notizie hanno come fonte la ‘Vita e martirio di s. Pancrazio vescovo di Taormina’, composta tra il sec. VIII e il IX (dopo il 776, prima dell’826), che il Lanzoni definisce un ‘romanzo agiografico’ prolisso e bizzarro; ma prima di esso non si ha alcuna menzione di Berillo”. “E’ significativo”, aggiunge, “che s. Gregorio, in tante lettere scritte ai vescovi siciliani, non abbia mai fatto cenno all’origine apostolica … Mentre, pertanto, è da escludersi che Berillo sia vissuto nell’età apostolica, egli potrebbe essere stato vescovo, forse anche il primo, di Catania, alla fine del III secolo o al principio del IV”. Anche le ultime edizioni dell’Annuario Pontificio collocano la fondazione della diocesi Catanensis al sec. I., come Palermo, mentre Siracusa al II e Messina al V. La rubrica del 4 maggio relativa alle Messe proprie delle diocesi di Sicilia (1981), confermata dalla Liturgia delle Ore del Proprio delle Chiese di Sicilia (2004), a proposito della memoria obbligatoria a Catania di S. Berillo, così recita: “Catania onora in s. Berillo il suo primo vescovo. Ciò trova conferma in un panegirico del sec. VIII in onore di s. Leone vescovo di Catania, nel quale l’anonimo autore esalta quel santo come persona degna di sedere sulla cattedra del vescovo Berillo”.
La prof. Maria Stelladoro, perfezionata in Studi Patristici e Tardo Antichi presso l’Università Lateranense, nel saggio “Studi sull’Oriente Cristiano” (Accademia Angelica-Costantiniana di Lettere Arti e Scienze, 5/1, Roma 2001) è del parere dell’origine apostolica pietrina del cristianesimo ellenofono della Sicilia orientale prima ancora che paolina e ritiene attendibili la leggenda di Berillo, che accompagnò S. Pietro “nel suo viaggio in Occidente assieme ad altri vescovi inviati poi ad evangelizzare la Sicilia e l’Italia”, e i legami delle chiese dell’Italia meridionale con Costantinopoli anziché con Roma, come suffragherebbe l’ipotesi di una rotta per mare che da Antiochia avrebbe condotto Pietro a Roma attraverso la Sicilia.
Nel segnalare che in Cattedrale si trovano diverse memorie iconografiche di s. Berillo, sia nel presbiterio maggiore, che in un altare laterale e nelle due facciate della basilica, oltre che in altre chiese della città (in quella monastica S. Giuliano ai Crociferi e nella parrocchiale eponima), si accenna alla secolare tradizione del culto di s. Berillo, il cui nome originario si riteneva fosse Cirillo o Nerillo. Il martirologio dell’imperatore Basilio II (948-988) ne compendia la vita il 21 marzo, in cui ancora è ricordato dai calendari liturgici greco-bizantini, cattolici e ortodossi. La vita di S. Berillo, ricordano i sacerdoti Giuseppe Consoli e Gaetano Amadio in “Santi ed eroi della carità in Catania” (1950), si trova anche nell’inno composto dal santo siracusano Giuseppe Innografo nella prima metà del sec. IX, dove si riferisce che il protoepiscopo avrebbe tramutato una sorgente di acqua amara in dolce e potabile. S. Berillo sarebbe morto, forse anche martire, a tarda età e non si sa dove fu seppellito, anche se le sue reliquie sarebbero state venerate degnamente. La cappella di S. Berillo che alla fine del Cinquecento esisteva alle spalle del tempio primaziale S. Agata la Vetere presso l’oratorio S. Pietro –oggi santuario di S. Agata al carcere- distrutta dal terremoto del 1693, venne ricostruita nel 1795, fuori le mura di levante.
Antonino Blandini
   

Consultare anche

S. Pietro e S. Paolo in Sicilia: I Vescovi e la Chiesa Siciliana del I secolo

Sta in
https://books.google.it/books?id=_eNnAgAAQBAJ&pg=PA6&lpg=PA6&dq=santo+berillo+vescovo+di+Catania&source=bl&ots=2HqnxMmu4O&sig=9kTswIcyLxpqm0MAWIbwxL2EqKQ&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwiF67vQhvvZAhUJWxQKHen_CHE4ChDoAQhAMAY#v=onepage&q=santo%20berillo%20vescovo%20di%20Catania&f=false









 




martedì 14 marzo 2017

Sikelia 15 marzo feste santi e memorie





This magnificent Processional Cross in the Art Nouveau style
was made in France and presented to Pope Leo XIII in 1887
to mark the Golden Jubilee of his Priestly Ordination. 


Saint ZACHARIE, Grec de Sicile, pape et patriarche de Rome (741-752), traducteur en grec des Dialogues de saint Grégoire (752).

 http://www.santiebeati.it/dettaglio/91636

l'espressione "Grec de Sicile" può anche riferirsi(e pare essere la lettura più accreditata) alla Calabria denominata quasi sempre Sicilia Continentale 

 Zaccaria, di famiglia greca, residente in Calabria, è eletto Papa nel Dicembre 741, e succede a Gregorio III, senza richiedere la conferma del governatore imperiale.
Il periodo del suo pontificato, é piuttosto difficile per la Chiesa, con i Longobardi che premono alle porte di Roma; per vario tempo é impegnato nel trovare un accordo con il re longobardo invasore Liutprando.



Uomo mite e pio, assai amato sia dal clero che dal popolo romano, Papa Zaccaria convoca due Sinodi per confermare l'insegnamento dei suoi predecessori.
Il suo nome è legato al Monastero di Montecassino che è da lui ultimato e personalmente consacrato.
Fa restaurare il palazzo danneggiato del Laterano; abbellisce la Chiesa di S. Maria Antiqua ai piedi del Palatino, ove ancora si conserva il suo ritratto, eseguito quando era ancora vivente. Papa Zaccaria, ultimo Papa greco, é un uomo di grande erudizione; a lui si deve la traduzione dei 'Dialoghi' di S. Gregorio Magno, eseguita per i Monasteri greci di Roma e d'Italia. Muore il 15 Marzo 752 a Roma ed è sepolto in S. Pietro.Tuttavia per altre ricerche pare "Fu sepolto nell’atrio o nell’Oratorio di S. Andrea a S. Pietro in Vaticano, poi nel Poliandro. La tomba andò perduta. Il Posterla (1707) indica la reliquia della testa nella Basilica Lateranense."

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http://sinassariortodosso.blogspot.com/2018/03/15-marzo-santi-italici-ed-italo-greci.html

mercoledì 8 marzo 2017

Sikelia al 9 MarzoSaint VITAL (VITALIOS) de Castronovo, fondateur des monastères d'Armento et de Rapolla en Calabre (994). (Cf. Hester, Monasticism and Spirituality of the Italo-Greeks, p. 79).


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Saint VITAL (VITALIOS) de Castronovo, fondateur des monastères d'Armento et de Rapolla en Calabre (994). (Cf. Hester, Monasticism and Spirituality of the Italo-Greeks, p. 79).

 https://biblio.co.uk/book/monasticism-spirituality-italo-greeks-david-hester/d/532298504


Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91056

San Vitale venne al mondo a Kars-nubu (una Castronovo di Sicilia di epoca islamica) nei primi anni del 900: padre Sergio de Mennita, madre Crisonica.
La sua famiglia era di origine bizantina, ricca e di alto lignaggio.
Fu battezzato nell’allora chiesa madre di Maria Santissima dell’Udienza ed educato nella fede da precettori ecclesiastici di rito greco: in quell’ambiente isolano, al tempo della dominazione araba, i Cristiani usufruivano di una certa autonomia negli affari religiosi.
Maturò però in lui, non interessato agli studi, un’inclinazione spirituale che lo portò intorno al 950 a mettere da parte tutto ciò che era benessere ed a ritirarsi nel monastero dei monaci intitolato a san Filippo – ad Agira (in provincia di Enna): qui indossò la veste religiosa.
Vi rimase cinque anni dedicandosi quotidianamente con eccellente impegno alle pie pratiche religiose e lavorative.
Dopo questo quinquennio con una delegazione di confratelli si recò pellegrino a Roma presso i luoghi sacri.
Durante il viaggio, all’altezza di Terracina (in Campania), un serpente velenoso lo morse, ma riuscì a salvarsi miracolosamente facendo un segno di croce sulla ferita.
Dopo il pellegrinaggio, sulla via di casa, scelse di non rientrare in convento, e di fermarsi come eremita in Calabria su un’altura in località di Santa Severina: questa esperienza di ascesi durò due anni.
Nei successivi dodici anni stette in un imprecisato cenobio siciliano, che seguiva la tradizione dell’oriente cristiano , a perfezionare l’esercizio delle sue virtù.
Terminata quest’altra fase del suo percorso sentì il richiamo dei territori incontaminati calabresi che si offrivano alla vita degli anacoreti.
Trovò quindi sede su un fianco del monte Lipirachi.
In queste zone conobbe l’abate del convento di Locri, come lui proteso al distacco dalla mondanità attraverso la preghiera ed il rigore (san Vitale gli ebbe a rivolgere fecondi ammaestramenti).
Andò successivamente a risiedere in un luogo solitario nella regione di Capo Spulico che dà sul mare, la quale per il suo isolamento si prestava a dare ospitalità peraltro a criminali.
Qui san Vitale riportò un clima di pace e di cordialità, ed i residenti in quelle terre a Roseto vollero erigere riconoscenti una chiesa dedicandola a san Basilio.
Di questo periodo si tramanda anche il miracolo in cui egli pregò in favore dei raccolti minacciati da un’inondazione, la quale così invece alla fine diede frutti benefici.
In quegli anni cambiò più volte luogo d’eremitaggio (monte Rapparo, Sant’Angelo d’Asprono, monte San Giuliano).
Tornò dunque, temprato nello spirito, in alcuni cenobi, anche se per poco tempo, poiché la sua vocazione lo spingeva ad ascoltare il Signore nella quiete della solitudine.
Si stabilì perciò in un antro nelle vicinanze di Armento (in Basilicata) dove divenne proverbiale la sua familiarità con gli animali; una piccola composizione popolare castronovese così recitava: «SANTU VITALI / FEDDA DI PANI / E DI LU RIESTU / NNI DUNA A LI CANI».
In diverse circostanze si rivolse, con esito positivo, a Dio chiedendogli di porre rimedio a bisogni più o meno gravi.
Gli eventi miracolosi legati alla sua vita proseguirono quando il governatore della provincia bizantina di Bari lo fece convocare, data la sua fama, per conoscerlo.
Con due religiosi che lo accompagnarono si recò da costui: lo confessò, e si adoperò pure durante quel soggiorno affinché un violentissimo temporale non arrecasse danni.
Lasciata Bari si mise all’opera per rimediare alla distruzione, attuata dai Musulmani, del monastero e della chiesa dei santi Adriano e Natalia: questo punto divenne un grande riferimento per i fedeli che nell’azione di san Vitale vedevano l’impronta della santità.
Verso la fine del secolo questo convento fu preso di mira dagli invasori islamici per essere depredato.
I confratelli di san Vitale temendo il peggio si misero in salvo fuggendo, lui rimase ad affrontarli: quando uno dei musulmani stava per ucciderlo questo fu colpito da un fulmine che gli fece cadere la scimitarra e si accasciò vittima di un’improvvisa sofferenza.
San Vitale fece sì che il suo attentatore guarisse, e che altresì, ammonendoli, gli aggressori si ritirassero da quelle terre.
Chi gli si rivolgeva con animo sincero era sempre ben accolto e raccomandato all’assistenza della grazia divina (come, per esempio, un uomo che ottenne di avere figli), ed in particolar modo chi era caduto nell’errore aveva l’occasione di emendarsi e di liberarsi dalla sua punizione (come, in un altro esempio, la mentitrice che aveva pronunciato a sproposito il nome di Dio).
San Vitale applicò appieno la norma evangelica dell’amore universale, specialmente nei confronti dei peccatori per il fatto che considerava più importante il momento del recupero che quello della penitenza in sé e per sé.
Negli ultimi anni della sua esistenza terrena diede vita a due monasteri lucani: quello di Torri (con l’aiuto del nipote, il beato Elia, di origine castronovese pure lui, e che contemporaneamente allo zio si era fatto monaco ritirandosi allora nel cenobio a pochi chilometri da Castronovo in contrada Melia) e quello di Rapolla (monasteri che furono le ultime due sue dimore).
L’abitato di Castronovo di Sant’Andrea, in provincia di Potenza, vicino ad Armento, deve a san Vitale la sua fondazione, e la sua denominazione, essendo egli memore della città natia (la specificazione “di Sant’Andrea” fu aggiunta secoli dopo).
Si spense il 9 marzo 994, dopo aver indicato il nuovo abate: la sua salma fu tumulata inizialmente nella chiesa del convento in cui morì, nel 1024 fu traslata in quella di un altro cenobio (a Guardia Perticara, il cui abate era il nipote Elia), da qui fu spostata a Torri (per proteggerla dagli assalti dei Musulmani) e poi ad Armento (per volontà del feudatario di quel territorio che la fece collocare a latere di quella di san Luca di Demenna), entrambi furono posti poi a Tricarico (in provincia di Matera) nella cattedrale.
In ultimo i resti di san Vitale ritornarono ad Armento, dove sono custoditi dentro una teca recante la scritta “SANCTI VITALIS RELIQUIAE” (in questo paese nell’anno della sua morte fu eretto un convento di monaci basiliani).
Una sua prima biografia, opera redatta da un monaco suo contemporaneo, in greco antico su pergamene andate perse, venne ritrovata nel monastero di Armento: questo testo fu, un secolo dopo la scomparsa del santo, tradotto in latino: la versione in tale lingua è l’unica rimasta.
In Sicilia la notizia che avessero un concittadino elevato all’onore degli altari giunse ai Castronovesi da Armento con notevole ritardo nel 1660/70, tuttavia non tardarono a dedicargli una chiesa (già aperta nel 1671), ad ottenere qualche reliquia e ad eleggerlo loro patrono al posto di san Giorgio (6 settembre 1704).
San Vitale è patrono di Armento (PZ) e di Castronovo di Sicilia (PA), paesi gemellati; viene festeggiato in entrambi il 9 marzo, ed in più a Castronovo ad inizio del mese di agosto.
In passato l’otto marzo i Castronovesi festeggiavano pure il beato Elia nipote di san Vitale.




Tratto da http://www.palatina.diocesipa.it/I_Nostri_Santi/San%20Vitale%20castronovo%20PA.htm

La ‘Vita’ del santo scritta in greco da un autore contemporaneo, fu tradotta in latino per uso liturgico nel 1194 e dedicata a Roberto vescovo di Tricarico.  
      Vitale,figlio di Sergio e Crisofonica, nacque al principio del secolo X a Castronovo in Sicilia ( PA ). Iniziò la vita monastica nel monastero di S. Filippo di Agira, alle falde dell’Etna, fucina di molti famosi asceti calabro-siculi dei secoli IX e X.
     Volendo adempiere al rituale pellegrinaggio alle tombe degli Apostoli a Roma, dopo una permanenza già di cinque anni nel monastero, ne chiese il permesso all’abate; al ritorno si fermò in Calabria e separatosi dai compagni di viaggio, cominciò una vita eremitica nelle vicinanze di Santa Severina.
     Dopo due anni ritornò in Sicilia in un altro monastero vicino a quello di Agira; trascorsero dodici anni e Vitale, evidentemente sempre alla ricerca di un appagamento del suo spirito, ritornò in Calabria, peregrinando per la Regione.
     Presso Cassano incontrò il monaco Antonio che seguiva una vita molto rigida in una grotta, Vitale si fermò qualche giorno dandogli saggi consigli di moderazione e poi proseguì verso Pietra Roseti al confine con la Lucania, qui dopo aver scacciato dei malfattori da una decadente casa, la trasformò in un cenacolo di monaci.
     Passato poi al ‘Mercurion’ e al ‘Latinianon’ in Lucania, realtà organizzate di vita monastica locali, prese poi a girare per la Regione, fondando monasteri in vari luoghi e confortando i monaci angosciati per le ricorrenti invasioni arabe.
    Qui non si può tralasciare un episodio che spiega la cipolla degli agiografi e della iconografia che parrebbe piuttosto una stranezza. Presso Armento, nel Monastero di Carbone era Abate un Santo religioso di nome Luca che avendo intese le voci sulla Santità di Vitale volle sincerarsene di persone e, montato a cavallo, andò a trovarlo. Incontrarsi si salutarono con la consueta inclinazione del capo e la reciproca genuflessione e seduti all'ingresso della spelonca, aprirono le più sante conversazioni. Intanto Vitale ordina al nipote frate Elio di preparare la mensa per fare onore all'ospite. Fu imbandito frumento e pane e a un cenno di Vitale delle cipolle dell'orto, che il Santo soleva mangiare e presane una, la divise in quattro parti. Non erano le nostre cipolle, ma cipollacce, che Luca pregò di allontanare perché mortifere per chi ne gustava.
     Vitale in risposta prese a mangiare e Luca per non parere di meno, ne mangiò pure lui, ma subito cadde come morto a terra. Vitale, fatta una breve preghiera, con un segno di croce, lo rinvenne e Luca così ne confessò la santità, e presa licenza, ritornò al suo Monastero rimanendo legato a Vitale da affettuosa e ammirata amicizia.
      Insieme ad altri due santi monaci, si recò anche a Bari dove fu ricevuto dal catapano Basilio nel 979. Ritornato in Lucania si mise a restaurare il monastero dei Santi Adriano e Natalia, saccheggiato dai saraceni, ma in un secondo assalto, fu fatto prigioniero subendo molti maltrattamenti.
     Liberato, si rifugiò insieme al nipote Elia divenuto anch’egli monaco, nella zona di Torri dove edificò una chiesa e poi sempre insieme ad Elia si spostò a Rapolla fondando un monastero e qui dopo aver stabilito la sua successione alla direzione del cenobio, morì in tarda età il 9 marzo 993.
     Sepolto nella chiesa del monastero, dopo 30 anni per sua volontà espressa ancora in vita, fu trasferito dal nipote nel cenobio di Guardia Perticara, fondato dallo stesso nipote, accolto dal vescovo di Torri e dai fedeli.
     Dopo altre traslazioni avvenute in altri monasteri e chiese, per mettere al sicuro le reliquie dalle incursioni, il corpo di s. Vitale insieme a quello di s. Luca di Demenna, fu trasferito nella Cattedrale di Tricarico.
     Oggi è venerato nella Chiesa Parrocchiale di S. Luca Abate in Armento ( PZ ).

Le Reliquie di S. Vitale Abate sono state traslate a Castronovo dal 22 luglio al 15 agosto 1994 in occasione del Millenario della nascita, celebrato ad Armento nel 1990.


Da consultare anche
Cristiani e musulami nella Sicilia islamica. La testimonianza delle fonti letterarie italogreche.
In
https://www.academia.edu/23667755/Cristiani_e_musulami_nella_Sicilia_islamica._La_testimonianza_delle_fonti_letterarie_italogreche