mercoledì 23 novembre 2016

24 novembre

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Saint HERMOGENE, évêque d'Agrigente en Sicile, mort dans la paix (vers 260

 Da alcuni autori è considerato l'ultimo Vescovo di Agrigento prima della conquista Araba della città. Sarebbe morto il 24 novembre dell'ottocento. Il Sinassario di Costantinopoli lo ricorda alla stessa data.
Poiché i Saraceni conquistarono Agrigento nell'anno 828 non pare che la città sia rimasta senza vescovo per tanti anni.
Secondo un altro autore, Ermogene doveva essere vivo all'entrata degli Arabi.
Nell’antico calendario della Chiesa Agrigentina è menzionato come santo al 24 novembre. Il Lancia di Brolo così ne parla: "Metto tra i martiri di incerta data anche S. Ermogene, vescovo di Girgenti, che la Chiesa greca onora al 24 novembre: veramente i Menei (monologi greci) dicono espressamente che “egli finì in pace i suoi giorni...”.
Volendo accordare i Menei con questo sinassario dobbiamo dire che S. Ermogene fu uno di quei santi martiri dell'ultima persecuzione che, sopravvissuti ai patimenti, finirono la vita in pace ai tempi di Costantino.
Il P. Gaetani, senza fondamento, lo mette verso l’800; non mi sembra probabile perché allora avanzerebbe un sinassario o un qualche brevissimo cenno della sua vita; invece non se ne trova alcun indizio in nessun libro dei Greci. La Chiesa latina lo ignora."
Tanto il Gaetano, in latino, che il Lancia di Brolo, in greco, riportano il distico che nei Menei greci è dedicato a S. Ermogene:
Caedens, Hermogenes, ex genere mortalium
pudore fastum generis imples daemonum.
Il Russo lo ritiene "oscurissimo distico" e dice che Ermogene fu l’undicesimo vescovo di Agrigento e divenne tale per le sue virtù cristiane nell’800; dopo averla governata ed illustrata con zelo e dottrina, morì il 24 novembre dell’824.
Secondo noi il suddetto distico si potrebbe tradurre: ''Allontanandoti, Ermogene, dal genere umano, colmi di vergogna l'arroganza del genere dei demoni".
O qui si accenna al coraggio, alla forza d'animo del santo che, morendo martire, vince le forze avverse, o alla costanza del confessore che in vita, e specialmente in morte, con le sue umili virtù, sconfigge la superbia dei demoni.
Festa il 24 novembre.

martedì 22 novembre 2016

23 novembre Saint GREGOIRE, évêque d'Agrigente en Sicile, confesseur de la foi orthodoxe face au monothélisme (vers 690). (Office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome XI des Ménées.)



Saint GREGOIRE, évêque d'Agrigente en Sicile, confesseur de la foi orthodoxe face au monothélisme (vers 690). (Office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome XI des Ménées.) 


San Gregorio II di Agrigento Vescovo 
23 novembre 
591 - 630 
Nato ad Agrigento nel 559 e avviato alla carriera ecclesiastica, si entusiasmò per i continui pellegrinaggi che in quel tempo si organizzavano per la Terra Santa, e nel 578 partì per Cartagine. Da qui viaggiò fino a Gerusalemme. Dopo la visita ai luoghi santi, si ritirò per quattro anni in solitudine di studio e di preghiera, e nel 584, rientrò a Gerusalemme. Di là si recò in Antiochia e a Costantinopoli dove la sua fama giunse all'orecchio dell'Imperatore Maurizio. Fu invitato a prendere parte ad un concilio tenuto a Costantinopoli. Giunto a Roma fu consacrato vescovo e destinato alla chiesa agrigentina, dove tornò nel 591. A causa di un'accusa ingiusta fu incarcerato a Roma ma il papa, in un concilio di 150 vescovi per discutere la causa di Gregorio, ne riconobbe l'innocenza. Nel 595 costruì nella sua diocesi un tempio ai Santi Pietro e Paolo. Fondò parecchi collegi per l'istruzione delle donne, aiutato dalla madre. Studioso di teologia e delle scienze fisiche e mediche lasciò molti scritti. Sostenne la teoria del movimento della terra attorno al sole, conciliando la scienza con l'interpretazione della Bibbia. Negli ultimi anni della sua vita si ritirò in solitudine. Morì ad Agrigento nel 630. 


KONDAKION DI SAN GREGORIO. TONO 3. 

COME GRANDE SOLE,* TU ILLUMINI TUTTA LA CHIESA DI DIO* CON LE AURORE DEI PRODIGI;* CON LA TUA INTERCESSIONE HAI SALVATO MOLTI UOMINI;* HAI ALLONTANATO DAL TUO GREGGE* CHI DIFFONDEVA DOTTRINE NON ORTODOSSE:* PER QUESTO TI ONORIAMO,* PADRE DI MENTE DIVINA,* SAPIENTE GREGORIO 

Su Gregorio d’Agrigento, autore di un commento all’Ecclesiaste, si conosce il Racconto di Leonzio, ieromonaco e igumeno di San Saba in Roma Antica. La cronologia è controversa, ma sol perché non risponde all’Epistolario pseudo-gregoriano (1), sicché non pochi eruditi, per accordare il Racconto alle presunte Epistole di Gregorio Magno, hanno dovuto fare ricorso a continue manipolazioni (2) e, persino, a ipotizzare l’esistenza di due omonimi vescovi agrigentini. Nell’impossibilità di riprodurre integralmente il lungo Racconto, presentiamo una sintesi fedele tratta dall’ottimo D. De Gregorio, Vita di san Gregorio agrigentino, Agrigento, 2000. 

Nasce ad Agrigento 

Gregorio nasce a Pretorio [Sella di Naro?], un villaggio sopra l’antica città d’Agrigento (3), da Caritone, esperto e valente cantore, e Teodote, oriunda da Thuris [Punta Bianca d’AG?]; è immerso nel lavacro della rinascita dal vescovo Potamione. 

Giunto agli otto anni, i genitori portano Gregorio al vescovo, suo secondo padre secondo lo spirito, per compiere gli studi: Potamione affida il bambino a un uomo timorato di Dio, Damiano, valente insegnante. In due anni Gregorio apprende la grammatica, la lettura, il calcolo, il ciclo annuale delle feste e impara a memoria il salterio: supera persino il maestro. 

Gregorio ha dodici anni quando i genitori scendono in città per riabbracciarlo: si presentano al vescovo Potamione e gli chiedono di tonsurare il figlio. 

Il vescovo taglia i capelli di Gregorio per inserirlo nel clero, e l’ordina lettore; poi l'affida all'arcidiacono e bibliotecario Donato. I genitori sono felici nel sentire che Gregorio legge in modo irreprensibile ed è dolcissimo nel canto. 

Un giorno Gregorio, diciottenne, scopre la Vita di san Basilio il Grande; leggendola diligentemente più volte, è preso dal desiderio di visitare i Luoghi Santi, dove Basilio ricevette la Grazia del Santo Spirito. 

A Gerusalemme 

Una notte un uomo appare in sogno a Gregorio e gli dice: "Poiché hai chiesto di vedere Gerusalemme e avere la gioia di visitare quei luoghi santi, di buon mattino portati al mare e troverai chi che ti prenderà con sé". L’arcidiacono Donato, che dorme nella stessa stanza con Gregorio, si rende conto della visione ma il giovane, di buon mattino si alza senza dirgli nulla, e scende verso la foce dell’Akragas, il fiume che gira attorno alla città per unirsi allo Ypsas. Nello stesso momento, approda una nave per rifornirsi d’acqua potabile. Avvicinatosi, Gregorio viene a sapere che la nave è diretta a Cartagine. E’ il 30 giugno. Gregorio ottiene il permesso d’imbarcarsi: proprio allora sorge vento favorevole; la nave esce dal fiume e - in tre giorni - approda a Cartagine. Varo, il comandante, durante la traversata era stato tentato di vendere Gregorio come schiavo: ammirato al vedere il giovane pregare senza interruzione, ora lo ospita a casa sua, in una stanza appartata e tranquilla. 

Gregorio non esce mai dalla camera, dedito completamente a una somma ascesi; ogni due giorni - a volte, anche dopo tre o dopo un'intera settimana - si nutre con un poco di pane, acqua e verdure scondite. Varo, vedendo la pazienza e la lunga costanza di Gregorio, ne parla al vescovo. Il vescovo manda l'arcidiacono a chiamarlo: lo trova intento a leggere un libro sul martirio dei santi Maccabei. Il giovane si presenta al vescovo: "Mi chiamo Gregorio, vengo dalla città d’Agrigento, della provincia di Sicilia, e vado, se Dio me lo concede per le tue sante preghiere, nella santa Sion". Gli dice il vescovo: "Nostro Signore Gesù Cristo adempia pienamente il tuo desiderio nella grazia del Santo Spirito! Resta tra noi sino alle sante feste [?] e il Signore Dio provvederà per noi quello che vorrà". 

Dopo alcuni giorni, Gregorio si trova nel martyrion di san Giuliano quando, ecco comparire tre monaci. Uno di loro gli dice: "Gregorio, Dio ci ha manifestato tutto ciò che ti riguarda; Dio ci ha mandato per aggregarti a noi e condurti ai Luoghi Santi, come tu desideri, perché anche noi vi andiamo". Il comandante dà loro pane e sapa, marmellata di mosto; Gregorio, unitosi ai tre pellegrini, parte da Cartagine; dopo venti giorni di cammino - arriva a Tripoli e sale al martyrion di san Leonzio. Passano trenta giorni e, lasciata Tripoli, i monaci e Gregorio riprendono la loro via: dopo quattro mesi giungono a Gerusalemme e si fermano per la quaresima in un monastero presso la Città santa. Igumeno di quel monastero è un uomo di spirito profetico; egli conferma Gregorio nella vita monastica e nella pratica ascetica e sacerdotale. Avvicinandosi la Grande Settimana, in quel monastero Gregorio vede grandi, straordinarie, incredibili meraviglie: vede uomini che dalla terra salgono al cielo (4). 

Giunto il triduo sacro della Risurrezione, l'igumeno si reca nella Città Santa con i suoi ospiti. Entrano nella basilica dell’Anàstasis, venerano i santi luoghi attorno, si comunicano al vivificante corpo e prezioso sangue del Signore Dio. 

Il santissimo arcivescovo Macario di Gerusalemme ospita Gregorio e i tre monaci vicino all'episcopio. Terminato l'Ufficio notturno e il Mattutino, l'arcivescovo riceve i vescovi, i presbiteri, i monaci e tutto il popolo, rivolgendo loro un discorso sulla conversione. All’abate che accompagna Gregorio, l'arcivescovo poi dice: "Salve, signor Marco, donde ci conduci il giovane Gregorio?" Gregorio si stupisce molto, al sentirsi chiamare per nome: lui stesso non conosceva il nome dell’abate e degli altri due monaci, pur essendo stato tanto tempo con loro. L'arcivescovo, infatti, fa il nome anche degli altri due: "Abate Serapione, abate Leonzio, ringrazio Dio che ci fortifica in Cristo Gesù e che ci giustifica per mezzo della Grazia del Santo Spirito che ha guidato ai Luoghi Santi quest'uomo che vive della preghiera continua. Vi devo ancora dire altre cose intorno a questo giovane, ma, poiché è il tempo del sacrificio divino, vi riferirò dopo intorno a lui ciò che il Signore mi ha fatto conoscere". 

L'arcivescovo entra in chiesa per compiere la sacra Mistagogia: Gregorio, che è a destra dell’ambone, può vedere la Grazia del Santo Spirito che illumina il santo arcivescovo Macario. 

Dopo aver partecipato ai santi misteri, l'arcivescovo invita a mensa Gregorio con i tre monaci; anche l'igumeno del monastero con i fratelli pranzarono con l'arcivescovo domenica di Pasqua [6 aprile 665, o 671, o 676]. Il giorno dopo, i tre monaci si allontanano per salutare i monaci che vivono attorno alla santa Sion; Gregorio, allora, chiede all’arcivescovo: "Santissimo padre Macario, di dove sono questi uomini? lo ho ritenuto che questi uomini fossero dei Luoghi Santi". L'arcivescovo risponde: "Sono di Roma Antica, lontani da essa circa tre chilometri, e vogliono ritornarvi". Gregorio: "Temo di non rivederli più". L'arcivescovo: "No, figlio; torneranno qui la prossima santa domenica". 

Nella settimana di Pasqua, Gregorio abita con l'arcivescovo, lo assiste nelle cerimonie sacre e l'imita nel modo di vivere. Ogni giorno Gregorio legge in modo impeccabile i libri, li intende con molto acume e si mostra valente nella loro interpretazione, perseverando nella preghiera. 

Venuta la domenica dell’Antipascha, verso sera, tornano i monaci nella santa Sion. L’indomani, il santissimo arcivescovo Macario, avendoli salutati col bacio santo, congeda Marco, Serapione e Leonzio. Gregorio, allora, piange: "Che cosa farò? Come potrò stare lontano da voi? Dove mi lasciate?" L'abate: "Non piangere: ti affidiamo al Signore Gesù Cristo, Figlio del Dio vivente, e al nostro comune padre spirituale, il santo arcivescovo Macario". E, presolo per mano, l'abate lo conduce ai piedi di Macario dicendo: "Padre reverendissimo, lui, un giorno, avrà il governo della Chiesa e con il timone spirituale della dottrina la reggerà illesa. Tu, o padre di tutti noi, prendi cura di lui in modo che la bellezza della sua anima rimanga sempre splendida, non contaminandosi con le macchie della gioventù, e non lasciare di sostenerlo e fortificarlo con gli insegnamenti della tua magnanima fortezza". Il santo Macario dice: "Anche tu, padre, conosci la condotta di questo giovanetto: digiuna tutta la settimana, non si stanca mai di meditare sulle Sacre Scritture, leggendo i sacri libri con la massima esattezza, cogliendone il significato e interpretandoli. Figlio, se lo gradisci, rimani qui con noi: se vuoi partire con i fratelli, vattene in pace con loro". Gregorio: "No, signor mio, non voglio allontanarmi da qui per tutti i giorni della mia vita". I monaci lo abbracciano piangendo e si allontanano dalla Città Santa il 15 aprile, due giorni dopo della santa domenica dopo Pasqua; Gregorio rimane in Gerusalemme, visitando i Luoghi santi, i monasteri e i kellia degli uomini santi. 

Partiti da Gerusalemme, il giorno 1 giugno i monaci arrivano a Tripoli, s’imbarcano su una nave del vescovo di Palermo, proprio in punto per la traversata, e il 15 giugno approdano in Sicilia, dalle parti di Plintiade [Fintiade; oggi: Licata, AG], nel luogo detto Passararia [?]. Ripreso il viaggio dopo alcuni giorni, sbarcano vicino ad Agrigento, alla foce del fiume, dov’è il sobborgo chiamato Emporio. I monaci vanno a bussare alla porta del monastero che sorge là [nel quartiere portuale]. L’igumeno scende ad accoglierli ed, essendosi vicendevolmente scambiata la riverenza, li accompagna in chiesa. Avendo pregato, l'igumeno dice: "Come stai, abate Paolo?". Meravigliato d’essere conosciuto per nome, l’abate chiede: "Come sta il vescovo Potamione?". Stupito a sua volta, l’igumeno manda a dire al vescovo dei forestieri. I tre monaci si fermano nel monastero per la Veglia notturna; l’indomani il vescovo Serapione, tramite l’arcidiacono Donato, li invita alla Liturgia per la festa dei santi Pietro e Paolo, e a pranzo. 

L’indomani [30 giugno], dopo aver celebrato il Mattutino, i monaci si recano all’episcopio. In quel momento arrivano davanti all’episcopio i genitori di Gregorio, portando i colivi per celebrare l’anniversario della scomparsa del figlio, che credono morto. Al vedere I compagni di scuola di Gregorio, che entrano ed escono da casa del vescovo, Teodote grida: "Figlio mio! Quale lupo ha rubato il mio agnellino? Dov’è sotterrato mio figlio? Chi lo ha ammazzato? Chi lo ha buttato a mare?" 

All’udire lo strepito che molta gente d’Agrigento faceva con Teodote, i monaci chiedono spiegazioni al vescovo. Potamione racconta di Gregorio e di come è scomparso: "Abbiamo frugato nelle grotte e nei dirupi, abbiamo fatto ricerche in tutta l’Isola, ma non abbiamo trovato nessuna traccia". Turbato, l’abate chiede di vedere i genitori del disperso: subito capisce che Gregorio è il figlio di Caritone; il padre somiglia in tutto al figlio, è anche biondo come lui (5). Si chiama l’ultimo ad aver visto Gregorio, l’arcidiacono Donato, il quale confessa d’aver visto l’essere divino che aveva invitato il giovane alla partenza: "Per paura non feci conoscere a nessuno la visione, temendo che non mi credessero e anzi ritenessero che io l’avessi o venduto o ammazzato". L’abate può quindi iniziare il suo racconto: "Una notte che eravamo alloggiati presso la basilica di San Pietro, apparvero due uomini che ci dissero: Partite presto per Cartagine; a casa di Varo, proprietario d’una nave, troverete un certo Gregorio di Agrigento; accompagnatelo a Gerusalemme e presentatelo all’arcivescovo Macario che è già stato avvertito di tutto… Trovata una nave, in dieci giorni siamo arrivati a Cartagine e abbiamo trovato Gregorio, in preghiera nella chiesa di San Giuliano; con lui siamo andati a Gerusalemme e la domenica del Rinnovamento l’abbiamo lasciato dal vescovo Macario". I genitori di Gregorio svengono, tutti gridano, l’abate specifica: "Gregorio vive e sta bene; somiglia al padre: è biondo, ha occhi belli, bocca e naso armoniosi, sopracciglia perfette, labbra sottili". Dopo tre giorni, i monaci salutano il vescovo Potamione e si recano a Palermo, da dove salpano alla volta di Roma Antica. 

A Costantinopoli 

A Gerusalemme, intanto, venuta la Pentecoste, Gregorio è ordinato diacono dall’arcivescovo Macario. Pochi giorni dopo, Gregorio si reca a visitare i monasteri del Monte degli Ulivi e, trascorso colà un anno, s’incammina verso il deserto. Guidato da un monaco, in venti giorni di cammino, Gregorio giunge a una piccola oasi in cui c’è la capanna di un vecchio eremita. Rimane quattro anni col gheron, e Gregorio con lui studia retorica attica, grammatica, filosofia e a astronomia, come un secondo Giovanni Crisostomo (6). Tornato a Gerusalemme e chiesto il permesso dell’arcivescovo Macario, Gregorio il 20 aprile parte per Antiochia: il vescovo Eustazio per un anno lo ospita in un kellion dove [secondo una tradizione altrimenti sconosciuta] san Basilio il Grande scrisse l’Exaimeron. Dopo un anno, Gregorio si reca nella Nuova Roma, a Costantinopoli, e si dedica allo studio delle opere del Crisostomo, dimorando nel Monastero dei Santi Sergio e Bacco. 

Avendo saputo della presenza in quel monastero d’un giovane molto dotto, l’arcivescovo di Costantinopoli incarica il diacono Costantino e Massimo il Filosofo di esaminarlo. Questi vanno al monastero per la Veglia. Dopo il canto del Signore mi hai esaminato e mi hai conosciuto [salmo 139], si legge l’omelia del Crisostomo su Giobbe; dopo altri salmi, Gregorio stesso legge gli Arcani del Nazianzeno: è spiegando i brani più difficili di quest’opera, che Gregorio riscuote l’approvazione degli esaminatori. Appena il vescovo di Costantinopoli è informato, esclama: "Ecco l’occhio della Chiesa ortodossa; Gregorio dalla svelta mente!" (7), e chiede al diacono siciliano di fermarsi nella Città, per partecipare a un concilio contro il fetore dell’eresia messa fuori dagli empi Ciro [d’Alessandria, m. 642], Sergio [di Cpoli, m. 638] e Paolo [di Cpoli, m. 653]. 

Il Concilio [Ecumenico 6°] iniziò pochi giorni dopo [7.11.680], alla presenza dei vescovi di Alessandria e Antiochia e di tutti i vescovi dell’Oriente: assente giustificato per malattia il papa di Roma (8). Gregorio vi partecipò in rappresentanza del vescovo di Costantia di Cipro, e svergognò molti vescovi eretici che pensavano da insensati intorno alla Trinità (9). L’imperatore Giustiniano (10) si congratula con il giovane diacono, presentatogli dallo spatario Marciano, e lo congeda: Gregorio parte per Roma Antica. Vi giunge il 21 giugno; dopo aver venerato le tombe degli Apostoli, si ritira nel Monastero di San Saba [all’Aventino]. 

Ad Agrigento 

Intanto la Chiesa di Agrigento è spaccata: alla morte del vescovo Teodoro, alcuni vogliono eleggere a successore il sacerdote Sabino, altri il diacono Crescentino. Su proposta dell’arcidiacono Euplo, si reca allora a Roma Antica una commissione, della quale fa parte anche Caritone, il padre di Gregorio: alla notizia dell’arrivo degli agrigentini, Gregorio si nasconde nel Monastero di Sant’Erasmo [al Celio], pensa persino di scappare in Spagna [?]. Continuando la lite tra le due fazioni, il papa suggerisce di accettare come vescovo colui che era stato onorato grandemente dal Concilio di Costantinopoli: manda quindi alla ricerca di Gregorio; lo si trova nascosto nel giardino del monastero; nonostante le sue resistenze e proteste, Gregorio il 16 agosto è costretto a partire per la Sicilia, accompagnato dal vescovo Felice. Il 10 settembre la nave arriva a Palermo: Gregorio è accolto festosamente dal vescovo locale; al suo passare, un monaco lebbroso guarisce all’istante. Gregorio sosta qualche giorno nel metochio episcopale di Libertino (11) che la Chiesa agrigentina aveva in Palermo, presso il tempio di San Giorgio [presso Porta Carini?]. Dopo tre giorni Gregorio salpa da Palermo e, in due giorni di navigazione, sbarca a Emporio d’Agrigento, nel primo pomeriggio: al suo apparire, un monaco sordomuto guarisce. Gregorio è accolto con una solenne Litì e accompagnato nel Monastero della Theotokos, che sorgeva all’Emporio. L’indomani le autorità civili e militari scortano il nuovo vescovo in città: le donne attendono festanti presso la Porta [Aurea]. Con le mogli dei diaconi e dei sacerdoti c’è anche Teodote, la madre di Gregorio: il vescovo bacia i piedi della mamma e saluta, una per una, le reverende signore (12). 

Era il 13 settembre, vigilia dell’Esaltazione della Croce: durante la celebrazione della divina Mistagogia, il vescovo Felice vide che la Potenza di Dio ricopriva Gregorio. 

Il nuovo vescovo ordina subito sacerdoti e diaconi, tre dei quali - Filadelfo, Platonico e Smaragdo [o Erasmo?] - vanno ricordati in particolare, e inizia a visitare le famiglie di Agrigento: prodigiosamente, guarisce la figlia del sacerdote Sabino. Ingrato, Sabino si accorda col presbitero Crescentino – prima, erano rivali – per far consacrare vescovo un certo Leucio. Questi, professante eretiche dottrine sull’economia dell’incarnazione, era stato mandato in esilio proprio per intervento di Gregorio; deposto da un sinodo locale di Laodicea, viveva a Modiolo [?], nascosto in casa dell’Illustre Teodoro. I tre assoldano la prostituta Evodia, anzi la costringono; mentre Gregorio è in chiesa per il Mesonittico, la nascondono nella camera del vescovo, avendo corrotto i portinai Tribuno e Danatzane; l’indomani i tre fanno scoppiare lo scandalo. Gregorio è arrestato e incarcerato nella stessa prigione in cui, al tempo di Tircano [?], fu martirizzato di spada il vescovo di Lilibeo [Marsala, TP] san Gregorio (13). La maggior parte degli agrigentini, tuttavia, non crede alle accuse: i congiurati coinvolgono allora Tiberio, il diacono del Papa, che in quei giorni si trovava a Filosofiana [Sofiana, presso Mazzarino -EN]; questi accorre ad Agrigento per processare Gregorio. Riunite nel Foro, le autorità locali si ribellano: "Non è legittimo che tu giudichi quest’uomo – dicono al diacono pontificio – e non è legale che Gregorio sia processato da te e non da un sinodo". Al diacono del Papa non resta che rapire Gregorio: di nascosto, nottetempo, insieme al diacono Platonico, il vescovo è costretto a imbarcarsi su una nave che fa rotta per Roma Antica; il marinaio Procopio è latore dell’atto d’accusa. La notizia che il vescovo è stato tradotto a Roma si diffonde subito e dilaga la rivolta: a stento il diacono pontificio si sottrae alla furia degli abitanti che vogliono ucciderlo, a stento riesce a scappare. I notabili d’Agrigento protestano con l’Arconte della Sicilia e con il vescovo di Siracusa [metropolita dell’Isola]: questi inviano una squadra di duecento uomini [per garantire l’ordine pubblico?] e un arcidiacono per mettere i sigilli all’episcopio di Agrigento. 

In carcere a Roma 

Giunto a Roma, Gregorio è messo in prigione: o scelleratezza, o durezza di cuore, o cattiveria di cui era pieno il Papa! (14) Solo dopo un anno si ricordò del misero vescovo in catene! Si presenta, infatti, a lui l’abate Marco di San Saba per insistere: il Papa non ha il diritto di processare Gregorio senza aver prima sentito il parere dell’arcivescovo di Costantinopoli e, soprattutto, dell’imperatore. Subdolo è l’atteggiamento del Papa, che convoca subito - il 10 luglio - gli accusatori del vescovo agrigentino: sa bene che la missiva indirizzata all’Imperatore e al Patriarca Ecumenico, giungerà a Costantinopoli mesi dopo. L’imperatore e il patriarca, tuttavia, nominano una commissione composta dai vescovi di Ancira, Cizico e Corinto, dal diacono Costantino (skevofilax della Grande Chiesa) e dallo spatario Marciano, con l’incarico di recarsi a Roma Antica per convocare un Sinodo. Giunti a Roma, questi inorridiscono al vedere la terribile prigione in cui era tenuto lo "straniero" - come a Roma era chiamato il siciliano Gregorio - in attesa di processo da quasi due anni e mezzo. Il Papa allora prende tempo: il processo si apre solo dopo la Pasqua dell’anno successivo, nel tempio di Sant’Ippolito, presso il carcere [presso San Pietro in Vincoli]. La composizione è chiaramente sbilanciata: il Papa e circa 110 giurati contro Gregorio, la Delegazione Imperiale e Patriarcale e pochi altri a favore. Prende la parola il vescovo di Ancira, in difesa di Gregorio o, piuttosto, della legalità: pretende che testimoni e accusatori siano interrogati in presenza dell’accusato (15). Colpo di scena: proprio l’infelice Evodia smantella l’impianto accusatorio e confessa l’ignobile tranello, chiamando in causa gli indegni Sabino e Crescentino. 

L’indomani il processo continua nella basilica di San Pietro, nell’atrio detto di Sant’Andrea. Sabino è condannato all’esilio in Tracia e Crescentino in Spagna, insieme a Leucio; altri, coinvolti nella vicenda, sono confinati chi a Ravenna e chi tra i Baschi; altri ancora finiscono in carcere nella stessa Roma Antica. Evodia fu rinchiusa nel Monastero di Santa Cecilia dove trascorse in penitenza gli ultimi anni, ventidue, della sua vita. Il sinodo condanna persino i futuri eredi dei colpevoli, e ordina la ricostruzione della cattolica, della chiesa centrale d’Agrigento, profanata dall’empio Lucio (il quale aveva persino ribaltato l’altare per trarne e distruggere le reliquie in esso custodite). Alla Chiesa di Agrigento, infine, si assegnano i beni demaniali sui quali avanzava pretese la Chiesa di Roma: addirittura, la metà della città siciliana, come documentato da rescritto imperiale che Gregorio curò di procurarsi a Costantinopoli. (16) 

Gregorio riabilitato 

Dopo il processo, infatti, l’imperatore invita Gregorio a Nuova Roma: insieme al vescovo agrigentino, Giustiniano [II] dedica tutta la quaresima a formulare sacri canoni a beneficio della Chiesa universale (17); Gregorio approfitta della sua permanenza nel Monastero dei Santi Sergio e Bacco per tenere discorsi sui dogmi, sulla quaresima, su san Pietro, su sant’Andrea, ecc. 

Gregorio fa quindi ritorno ad Agrigento, colmo di doni avuti dall’imperatore e dalla sua sposa [Teodora]: tra accoglierlo c’è ancora il padre e, tra le reverende presbitere, anche la madre; Gregorio non vuole però entrare nell’episcopio (18), e si stabilisce presso il tempio dedicato a Eber e Raps [divinità puniche = Eracle e Trittolemo o Castore e Polluce?] che trasforma in chiesa cristiana, dedicata ai santi Pietro e Paolo; la precedente cattedrale, infatti, era stata riconsacrata – o meglio, profanata – da due compari di Leucio, gli eretici vescovi del Grande Ponto e di Seleucia (19). Gregorio morì in pace, dopo una lunga vita e dopo aver edificato il popolo con molti miracoli (20). 
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NOTE 

1) Si attribuiscono al papa Gregorio I (590\604) un migliaio circa di Epistole, verosimilmente redatte sul finire dell’8° secolo da compilatori di facsimili per la Curia Pontificia, o – come esercitazione scolastica - da "concorrenti" alla Cancelleria, oppure da quei falsari che confezionarono i documenti esibiti a Carlomagno da Adriano I per giustificare le pretese territoriali del Papato. E’ verosimile che alcuni "casi" liturgici e morali, risolti nelle Epistole, siano stati tratti dal Racconto di Leonzio e fittiziamente riferiti all’età gregoriana. 

2) Per accordare il Racconto all’Epistolario psudo-gregoriano, è necessario falsificare il testo trasmesso dalla tradizione, cambiando quasi tutti i nomi citati dall’agiografo (patriarca Macario: Giovanni VI; imperatore Giustiniano II: Maurizio; ecc.) ed eliminando sia la menzione degli eretici Sergio, Ciro e Paolo, sia dei Concili Costantinopolitani.. 

3) Akragas, "la più bella città dei mortali" (Pindaro), fondata nel 581 a.C. da cittadini di Gela (colonia di dori-cretesi), invasa dai Normanni nel 1086, subisce la cattolicizzazione a opera di Gerlando di Besançon, un allobrogo imparentato con i conquistatori; per molti secoli il Patriarcato Ecumenico continua, tuttavia, a conferire il titolo di vescovo agrigentino. Nel 20° secolo la città riacquista l’antico nome, abbandonando quello ereditato dai Berberi (Girgenti, da Kerkent) e la Sacra Arcidiocesi d’Italia ricostituisce una parrocchia ortodossa. 

4) Monaci in estasi o Gregorio assiste a fenomeni di levitazione? 

5) Una singolare anomalia genetica (colorito scuro \ occhi verdi; capelli biondi \ occhi scuri), riscontrabile in Sicilia e Grande Grecia sin dalla preistoria (tramite l’esame del DNA), di solito è attribuita, invece, alla fusione tra l’etnia locale – romana ortodossa - e gli invasori francogermanici. Non è l’unico caso in cui l’agiografia (vedi, per es. san Filarete l’Ortolano) smentisce il luogo comune. 

6) In realtà, l’agiografo pare che qui abbia copiato la Vita di san Giovanni Crisostomo. 

7) In greco, grègoros = veloce. 

8) I pochi mesi del pontificato di Agatone furono funestati da una tremenda peste che spopolò Roma Antica: il papa morì a Concilio appena iniziato. 

9) Tra gli "insensati eretici" il Concilio condannò anche Onorio, papa di Roma Antica. 

10) Il minorenne Giustiniano II, figlio di Costantino IV che convocò e presiedette il VI Concilio Ecumenico. 

11) Secondo la tradizione, primo vescovo d’Agrigento è un san Libertino, martire – pare – a seguito degli editti persecutori promulgati da Valeriano (257 e 258). 

12) Teodote è tra diaconesse e presbitere perché madre d’un vescovo e sposa d’un cantore. 

13) Del tutto sconosciuto: a meno che non si tratti di quel vescovo Gregorio, fedele al dogma di Calcedonia, giunto in Sicilia con il diacono Demetrio e l’asceta Calogero; questi si ritirò (nascose?) nelle caverne del Monte Cronio presso Sciacca -AG, mentre i primi due subirono il martirio (dai Vandali?). 

14) Testuali parole della Vita. Da notare: agrigentini, arconte imperiale e metropolita di Siracusa, formano un "partito" contrapposto a quello formato da eretici, diacono pontificio e Papa. 

15) In tutta la vicenda è evidente il contrasto tra una posizione garantista, improntata al Diritto Romano, e una posizione giustizialista o barbarica. 

16) All’epoca in cui fu scritto il Racconto di Leonzio, a Roma Antica già era nota la leggenda alla base della famigerata Donatio Constantini. 

17) Si parla del Concilio del 692, il Quintosesto? Gran parte dei suoi canoni tentano di riportare la cristianità occidentale all’ortodossia della tradizione liturgica e disciplinare. 

18) Può darsi che, per qualche tempo, Agrigento sia stata divisa tra eretici e ortodossi? 

19) Il Grande Ponto è forse l’Armenia Minore; Seleucia è il centro della Chiesa Nestoriana che in un Sinodo del 486 permise le nozze dei vescovi: il metropolita Barsauma di Nisibi, per "dare l’esempio", sposò la monaca Mamoe. Si noti che Sabino, pretendente alla sede vescovile d’Agrigento, è coniugato. 

20) Manca lo spazio per elencare i molti miracoli della Vita; manca lo spazio, purtroppo, per riportare le tante preghiere disseminate nel testo e che, messe insieme, formerebbero un piccolo Eucologio. 
http://oodegr.co/italiano/tradizione_index/vitesanti/gregorioag.htm


dal sito 
 http://ortodossiromani.blogspot.it/2009/04/novembre_04.html
il santo è ricordato il 24 Novembre secondo,probabilmente,i minei costantinopolitani
il calendario ortodosso che seguo in francese di estrazione slava  lo colloca la 23 Novembre
 http://www.forum-orthodoxe.com/~forum/viewtopic.php?f=5&t=1063

 Il nostro padre tra i santi Gregorio, vescovo di Agrigento.
Il padre, Caritone, era cantore; la madre si chiamava Teodote; fu immerso nel Lavacro della rinascita dal vescovo Potamione. Gregorio apprese la grammatica, la lettura, il calcolo e il ciclo annuale delle feste, imparò a memoria il salterio, e a dodici anni fu ordinato lettore: aveva una voce molto dolce nel canto; era biondo, dagli occhi belli, bocca e naso armoniosi, sopracciglia perfette, labbra sottili. Preso dal desiderio di visitare i Luoghi Santi, di nascosto Gregorio si imbarcò su una nave diretta a Cartagine, da dove si recò a Tripoli di Siria e poi a Gerusalemme. In un anno tra il 665 e il 676, fu ordinato diacono dal patriarca Macario e in seguito, dopo aver studiato retorica attica, grammatica, filosofia e astronomia, soggiornò ad Antiochia, ospite del vescovo Eustazio, e infine si stabilì nel Monastero dei Santi Sergio e Bacco, a Nuova Roma. Qui, nel 680, partecipò al VI Concilio Ecumenico, in rappresentanza del vescovo di Costantia di Cipro. Finiti i lavori conciliari, Gregorio si trasferì nel Monastero di San Saba sull’Aventino, nell’antica Roma.
Intanto la Chiesa di Agrigento era divisa da lotte intestine: alla morte del vescovo Teodoro, alcuni volevano eleggere il sacerdote Sabino, altri il diacono Crescentino. Su proposta dell’arcidiacono Euplo, fu scelto invece Gregorio, che era stato onorato grandemente dal Concilio di Costantinopoli.
Gregorio prese possesso della sua diocesi ma, accusato falsamente da alcuni eretici, per ordine del Papa fu rapito, portato a Roma e messo in carcere. L’imperatore e il Patriarca ecumenico, appresa la notizia dell’arresto di Gregorio, mandano subito a Roma Antica i vescovi di Ankira, di Cizico e di Corinto, il diacono Costantino di Santa Sofia e lo spatario Marciano, che ne ottengono la liberazione. Gregorio si recò quindi a Costantinopoli e, insieme all’imperatore Giustiniano II, dedicò tutta la quaresima del 692 a preparare il Concilio Quintosesto, i cui canoni tentarono di riportare la cristianità occidentale all’ortodossia della tradizione liturgica e disciplinare. Gregorio fa quindi ritorno ad Agrigento, colmo di doni avuti dall’imperatore e dalla sua sposa Teodora: non gli fu possibile però rientrare nell’episcopio, occupato dagli eretici, e fu costretto a stabilirsi presso l’edificio sacro agli dei Eber e Raps, che trasformò in tempio cristiano, dedicato ai santi Pietro e Paolo. Dopo una lunga vita e dopo aver edificato il popolo con molti miracoli, Gregorio si addormentò in pace.
 

sabato 19 novembre 2016

santi per il 20 Novembre


MYSTAGOGY


Saints AMPELE et CAÏUS, martyrs à Messine en Sicile. (+ v. 302)
martyrs à Messine au temps de l'empereur Dioclétien. De leur vie, nous ne connaissons que leur mort glorieuse


Santi Ampelio e Caio martiri a Messina al tempo della persecuzione di Diocleziano (314)

Di origini messinesi, questi due santi subirono il martirio sotto Diocleziano, a Messina il 20 Novembre 314. Il loro corpi secondo la tradizione  del popolo  si trovano nel coro del convento di San Francesco. Secondo i Bollandisti Ampelio potrebbe essere il S. Appelico ricordato dai martirologi geronimiani.



ma anche seppur non siciliano ma avendo vissuto in Sicilia



Saint GREGOIRE le Décapolite, natif de l'Isaurie, ascète en divers lieux d'Anatolie, aux îles des Princes, à Enos en Thrace, Thessalonique en Macédoine, Reggio en Calabre, Syracuse en Sicile et au Mont Olympe de Bithynie, visionnaire et confesseur des saintes Icônes (842). Depuis 1490 environ, ses reliques sont conservées au monastère de Bistrita dans le département de Vâlcea en Olténie. (Office traduit en français par le père Denis Guillaume au tome XI des Ménées. Office complet traduit en français par le même avec l'aide de la soeur Elisabeta au tome XI du Supplément aux Ménées.) 


San Gregorio il Decapolita Monaco
Irenopoli, Isauria, 762 – Costantinopoli, 20 novembre 862
San Gregorio il Decapolita visse nell’VIII secolo. Condusse prima vita monastica, poi anacoretica. Fattosi infine pellegrino, soggiornò per lungo tempo a Tessalonica e poi a Costantinopoli, dove si trovò a combattere l’iconoclastia e poi morì. Le sue reliquie sono venerate oggi in terra romena.
Martirologio Romano: A Costantinopoli, san Gregorio Decapolitano, monaco, che condusse dapprima vita monastica e poi anacoretica; fattosi quindi pellegrino, risiedette molto a lungo a Salonicco e, infine, a Costantinopoli, dove rese l’anima a Dio combattendo strenuamente in difesa del culto delle sacre immagini.


MYSTAGOGY

mercoledì 9 novembre 2016

10 novembre Sainte NYMPHE, martyre en Sicile (Vème siècle?).

Sainte NYMPHE, martyre en Sicile (Vème siècle?).

Ninfa era figlia di Aureliano, prefetto di Palermo al tempo di Costantino Magno (280-337), persecutore in un primo tempo dei cristiani, fu convertita e battezzata nella sua casa dal vescovo Mamiliano, insieme ad altre trenta persone.
Il padre Aureliano mentre arrestava Mamiliano e altri duecento cristiani, cercò di far recedere la figlia dalla nuova religione. Visti vani i suoi tentativi e dopo averli sottoposti a torture, li fece chiudere in carcere, ma un angelo li liberò, conducendoli in riva al mare dove trovarono una barca che li condusse, Mamiliano e Ninfa, nell Isola del Giglio, dove rimasero in preghiera e solitudine.
Desiderosi di visitare Roma, sbarcarono sotto indicazione celeste, in un luogo chiamato Bucina, abitato da molti pagani, dopo la visita alle tombe degli apostoli, Mamiliano morì e Ninfa lo fece seppellire vicino Bucina; dopo circa un anno anche Ninfa morì il 10 novembre e sepolta dove erano conservate le reliquie di altri martiri (da ciò si suppone che sia morta martire).
Nel 1593 il capo della santa fu trasferito a Palermo in un altare della cattedrale, consacrato nel 1598


 http://www.palatina.diocesipa.it/I_Nostri_Santi/S.Ninfa%20di%20Palermo.htm

tratto da
https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=2048965871866912&id=100002605583903

Il nome Ninfa, deriva dal greco Nynphe (Νύμφη) e indicava le giovani donne in età da marito. Secondo una Passio manoscritta risalente al XII secolo, Ninfa sarebbe stata figlia di Aureliano, prefetto di Palermo al tempo di Costantino, cioè agli inizi del IV secolo. Per la conversione di Ninfa al cristianesimo fu decisivo l'incontro e la frequentazione del vescovo di Palermo, Mamiliano. Il padre, Aureliano, cercò in tutti i modi di far recedere la figlia dalla nuova religione, fece persino arrestare Mamiliano con duecento altri cristiani e li sottopose a torture. Poiché ogni tentativo risultò vano, li fece rinchiudere in carcere, ma un angelo li liberò e li condusse in riva al mare, dove trovarono pronta una barca per prendere il largo. Si diressero verso nord e viaggiarono per mare fino all'isola del Giglio, dove rimasero qualche tempo in preghiera e solitudine.
Il desiderio di visitare le tombe degli apostoli Pietro e Paolo li spinse a raggiungere la città di Roma, dove Mamiliano morì subito dopo aver realizzato il suo desiderio e Ninfa lo fece seppellire vicino al mare, ad un miglio da una località denominata Bucina.
Un anno dopo, esattamente il 10 novembre, dopo un lungo periodo di stenti, anche Ninfa morì e fu sepolta in una cripta, sempre a Bucina. Gli abitanti del luogo, in seguito all'afflizione provata durante un periodo di siccità, pregarono la santa di intercedere presso Dio affinché piovesse. Si verificò il tanto desiderato miracolo e i fedeli cominciarono a venerarla come una santa.
Le prime notizie riguardanti santa Ninfa risalgono ad un documento pontificio di papa Leone IV (847-855), che cita la chiesa della beata Ninfa martire, nella città di Porto. Successivamente, nel 1113, le reliquie della santa furono collocate nelle chiese romane di San Trifone a Piazza Fiammetta, San Crisogono (1123) e nella cattedrale di Palestrina (1116). Fino al 1593, la sua testa era venerata nella chiesa romana di Santa Maria in Monticelli, dove fu portata nel 1098, durante il pontificato di Urbano II.
La venerazione per la santa si diffuse nel Meridione e il 5 settembre 1593 l'urna argentea contenente la testa della santa giunse a Palermo, sua città natale. La reliquia fu accolta solennemente dal Senato cittadino prima di essere riposta sotto l'altare della cattedrale di Palermo, dov'era venerata almeno dal 1483. La traslazione dell'urna, dalla chiesa romana di Santa Maria in Monticelli alla città natale, fu possibile per l'attiva opera di mediazione che la Contessa d'Olivares riuscì a compiere presso il Vaticano.
A Palermo, santa Ninfa fu eletta patrona della città assieme ad altre quattro sante vergini, santa Rosalia, sant'Agata, santa Oliva e santa Cristina. Da Palermo il suo culto si diffuse in tutta la Sicilia, tanto che un paese in provincia di Trapani porta il suo nome per volontà del fondatore, il barone Luigi Arias Giardina (1605), devoto della santa.

sabato 5 novembre 2016

per il 6 Novembre











https://www.facebook.com/photo.php?fbid=2657550981008395&set=a.1001927373237439&type=3&theater

Saint LUC, natif de Taormina en Sicile, ascète sur les pentes de l'Etna, à Constantinople et à Corinthe (vers 820)


 http://www.ortodossia.it/w/index.php?option=com_content&view=article&id=4002:06-11-memoria-di-san-luca-di-taormina&catid=193:novembre&lang=it


 • 6 novembre • Memoria del nostro Padre LUCA, morto in pace.

Il benemerito Luca era originario della città di Taormina in Sicilia. Fin dall’infanzia aveva l’attitudine di frequentare assiduamente la casa di Dio, non solo per ascoltare le parole ispirate ma anche per metterle in applicazione. Arrivato all’età di diciotto anni, i suoi genitori vollero sposarlo ma lui il cui cuore era preso dall’amore per Dio e della verginità, fuggì di notte e si rifugiò in un antro inaccessibile della montagna. Egli visse là, in mezzo a bestie selvagge senza prendere alcun nutrimento, per quaranta giorni poi fu giudicato degno della visione di un angelo di Dio che gli indicò quale doveva essere la sua strada. Egli scese dalle montagne e andò in un monasteri dei dintorni, dove ricevette il santo abito angelico. Da allora si dedicò a numerose austerità: per diciotto mesi non mangiò che una volta ogni tre o quattro giorni e prese solo un po’ di pane e acqua, rifiutando ogni altra consolazione al suo corpo mortale. Da questo monastero partì in compagnia di un altro monaco, per le implacabili solitudini dell’Etna e avendo come unico nutrimento solo le erbe che poteva trovare, lassù sulla montagna desolata. Egli accordava solo qualche breve istante al sonno, portava lo stesso abito qualunque fosse il tempo e camminava a piedi nudi. Si era dotato per regola di non uscire dalla sua cella prima di aver finito la recita integrale del salterio. Quando lo aveva completato, leggeva la terza ora, poi si dedicava al suo lavoro manuale fino alla sesta ora ed era solo dopo la sesta ora che si concedeva di prendere il suo magro nutrimento unito alle preghiere appropriate. Poi continuava così il suo programma, santificando il giorno e la notte con la preghiera continua. È per questi combattimenti che fu gratificato da Dio con meravigliosi doni della Grazia. Dio gli aveva dato una tale partecipazione al suo Santo Spirito che egli penetrava i più oscuri passaggi della Sacra Scrittura e poteva spiegarli; tanto che alcuni dicevano di lui con stupore:<< Come conosci le lettere senza aver ricevuto istruzione? >> (In 7,15). Chi, inoltre, avrebbe potuto descrivere la sua umiltà senza fine, il suo amore profondo per tutti gli uomini ed i tesori del suo discernimento?
Dopo una rivelazione, partì per installarsi in un luogo più inaccessibile e prese sotto la sua direzione spirituale dodici discepoli. Per i bisogni della sua comunità fece un viaggio a Bisanzio, nel corso del quale visitò i differenti monasteri della capitale e fece visita ai padri spirituali che vi si trovavano. Al ritorno discese fino a Corinto e si stabilì in un piccolo villaggio dove, sette mesi più tardi, rimise in pace la sua anima a Dio, all’età di quaranta anni. I miracoli abbondarono sui luoghi, immediatamente dopo il riposo del santo ed un liquido profumato (myron) calò dalla sua tomba.


Saint Luke of Sicily was a native of the Sicilian city of Tauromenium.
In his youth he left his parents and fiancée and went into the wilderness,
where he spent many years in fasting and prayer.
He lived the ascetic life at Mount Aetna.

Towards the end of his life St Luke,
because of a revelation to him, founded a monastery.

In order to become familiar with the rule
and life of other monasteries,
he visited many other cities. He died at Corinth in 820.



Santo Luca nato a Taormina eremita  alle pendici dell’Etna, poi nei pressi di Costantinopoli ,successivamente a Patrasso e si addormentò a Corinto verso l’anno 820
Una venerata tradizione narra che Luca, lasciata l’Etna, abbia  fondato anche in Grecia  un monastero 


Anche la Diocesi Ortodossa Romena in Italia nel suo sinassario online ricorda il nostro Santo

mercoledì 2 novembre 2016

3 Novembre San Libertino di Agrigento Vescovo e martire e Santa Silvia Palermo/Roma Madre di San Gregorio Magno


MYSTAGOGY

saints pour le 3 novembre du calendrier ecclésiastique

 

San Libertino di Agrigento Vescovo e martire
 http://www.santiebeati.it/dettaglio/76035

La tradizione, raccolta dagli storici e scrittori, specie agrigentini, sino al secolo XVIII, riteneva che S. Libertino fosse stato mandato da S. Pietro ad Agrigento per predicarvi il Vangelo
 
Santo Libertino vescovo di Agrigento e martire  protovescovo della città tra il I e il II secolo



La tradizione, raccolta dagli storici e scrittori, specie agrigentini, sino al secolo XVIII, riteneva che S. Libertino fosse stato mandato da S. Pietro ad Agrigento per predicarvi il Vangelo

Nel 1779 il canonio Raimondo Gaglio, utilizzando anche i lavori del suo defunto fratello Vincenzo, sollecitato dagli accademici della Biblioteca Comunale di Palermo, inviava loro la "Serie cronologica dei Vescovi di Girgenti dai primordi al cadere del sec. XVIII" che poi venne pubblicata, dal 1901, dal Boglino nella sua Sicilia Sacra.
Il Gaglio , fondandosi sull'anonimo panegirista di S. Marciano, primo vescovo di Siracusa, scrisse: “Altro non farò se non che rapportare le parole di questo anonimo le quali leggonsi nella sua orazione panegirica scritta in greco nel secolo suddetto in lode di S. Marciano, tradotta prima dal  Gaetano in latino e pubblicata poi in autentica dai PP. Bollandisti, lasciando agli eruditi la libertà di seguire colla di lui scorta le sue riflessioni o di pensare altrirnenti".
Le parole citate in nota dal Gaglio sono queste:
"(Peregrinus) inter coeteros Dei praecones Marciani doctrina imbutus, testis perfectus Dei effectus est, sacrificium acceptabile ac voluntarium factus atque holocaustum in odorem sua vitatis in monte quod cacumen Crotaleos adpellatur, parem inortis triumphum retulit cum martyre et Agrigentinorum episcopo Libertino".
Continua poi il Gaglio:"Asserisce egli dunque nel cennato panegirico che S. Libertino fu martirizzato insieme con S. Pellegrino sul monte Crotaleo della stessa città.
E conclude: "Ciò che potrebbe dirsi con qualche apparenza di sicurezza si è che S. Libertino fu il primo vescovo di Girgenti, che egli visse nei primi secoli di Cristo, che vi portò, prima di tutti, la luce del Vangelo, che vi sofferse il martirio, rimanendo ancora ignoto l'anno in cui portossi a Girgenti e la maniera onde fu eletto vescovo".

Il brano dell'encomio è così tradotto dal p. Agostino Amore:
"Come insegna la testimonianza scritta del vittorioso Pellegrino di cui si parlava in principio, anche lui, infatti, ripieno della dottrina di questo predicatore di Dio, Marciano, si rese perfetto testimone di Dio, fatto sacrificio accetto nella tribolazione e olocausto in odore di soavità sulla montagna della Crotala, subendo una morte simile a quella del Santo vescovo e martire Libertino della Chiesa di Agrigento
In una passione anonima pubblicata dai Bollandisti (G. van Hoof) in Acta Sanctorum Novembris si parla dei santi Libertino e Pellegrino.
Il passo riguardante S. Pellegrino è il seguente: Gli imperatori Valeriano e Gallieno (254 259) avevano scritto a Quinziano, consolare di Sicilia, di costringere i cristiani a sacrificare agli dei. Quinziano mandò in Agrigento Silvano il quale "Agrigentum ingressus Libertinum episcopum corripi jubet. Non doli, non ininae, nihil omissum quo revocaretur a Christo, simulacra veneraretur. At Libertinus in aede S. Stephani protomartyris per aras Deum laudans, oransque, spiritum coelo reddidit, nec sine luctu in foro Agrigentinorum sepultus" (Acta Sanctorum, pag. 612 n. 3: Entrato in Agrigento comandò che il vescovo Libertino fosse arrestato. Niente fu omesso, di inganni e minacce, per distoglierlo da Cristo e fargli venerare gli dei. Ma Libertino nella chiesa di S. Stefano protomartire, lodando Dio davanti gli altari, restituì la sua anima al cielo e con gran lutto fu seppellito nel foro degli Agrigentini.) "Il culto di S. Libertino dovette iniziarsi abbastanza presto: al tempo di Gregorio Magno un pretore di Sicilia ed un vescovo di Sardegna ebbero quel nome, mentre nella vita di S. Gregorio, vescovo di Agrigento, scritta da Leonzio, si ricorda una casa che la Chiesa di Agrigento possedeva da moltissimo tempo in Palermo e che si chiamava Libertino: "era intatti da molto tempo della Chiesa Agrigentina ed era detta Libertino.”
Secondo la tradizione, inserita nella liturgia latina  del Santo, al 3 novembre, la predicazione di S. Libertino fu così efficace e feconda di risultati che le autorità pagane decisero di stroncarla; non riuscendovi né con le blandizie, né con le minacce, ricorsero alla violenza.
Secondo la tradizione venne martirizzato con S. Pellegrino e poi bruciato; secondo un'altra venne lapidato o ucciso con la spada o con un colpo al petto o al capo.

 
 
Santa Silvia  Madre di s. Gregorio Magno(verso il 572 a Roma o tra il 590 e il 592)


Non si conosce l’anno di nascita; molte Città, tra cui Palermo, Messina, Vizzini ( CT ), Roma, se ne contendono i natali.Nasce  dalla nobile famiglia Ottavia.
Ebbe due sorelle: Emiliana e Tersilla,  anch’esse Sante, venerate al 5 Gennaio e al 24 Dicembre.
Fu sposa del Senatore Gordiano della Famiglia Anicia , che amministrava una delle sette regioni di Roma.
 La tradizione palermitana vuole che la casa di S. Silvia, ove pare sia nata, sorgesse sul sito della Chiesa di S. Gregorio al Capo, ove esisteva un pozzo, a Lei intitolato.
 Qui concepì il figlio che partorì a Roma, il futuro Papa San Gregorio Magno. Consigliato da Silvia, lo sposo Gordiano nell’anno 569 fece dono dei beni che possedeva nel regno di Napoli al Monastero di Monte Cassino e suo figlio Gregorio sui possedimenti della madre eresse sei monasteri in Sicilia: 
( S. Martino delle Scale;  Maria SS. di Gibilmanna ; S. Maria La Vetere di Licata; S. Maria La Vetere di Chiaramente Gulfi; S. Giovanni Evangelista a Modica alta; Maria SS. della Vena a Piedimonte Etneo ) il settimo a Roma, dedicato all’Apostolo Andrea, sul terreno della stessa Silvia.
Oppure, se i Monasteri fossero stati tutti nella Città di Palermo, uno dei sette era S. Gregorio al Capo, come riporta la lapide posta dagli Agostiniani nella stessa Chiesa.  
Gli altri erano:S. Giovanni degli Eremiti; S. Massimo e S. Agata in Lucusiano;il Pretoriano; S. Adriano;S. Giorgio in Kemonia; S. Martino delle Scale.
Altre tradizioni siciliane vogliono il monastero di S. Maria della Vena di Piedimonte Etneo fondato su possedimenti di S. Silvia: 
“ l’Icona della Vergine si ferma, dà l’acqua, vuole il tempio; San Gregorio dona gli edifici
( chiesa e monastero ) e S. Silvia il bosco “ ; altri possedimenti di S. Silvia erano a Vizzini ( CT ).
Rimasta vedova condusse una vita semplice e, visse secondo la regola benedettina Si dedicò alla meditazione e al servizio dei poveri mentre il figlio diventata Papa e Vescovo di Roma   Si addormentò nel Signore il 3 Novembre del 590 o del 592. Gregorio la seppellì nel monastero di S. Andrea e vi fece dipingere la sua immagine con la croce nella destra e il libro nella sinistra, con la scritta:  “ Vivit anima mea et laudabit te, et iudicia tua adiuvabunt me “, cioè: “Vive la mia anima e ti loderà e i tuoi giudizi mi aiuteranno".     
 La tradizione romana, ( Vita S. Gregorii I, 9 Migne PL LXXV p. 66 ) la fa dimorare, rimasta vedova, nel luogo detto Cella Nova presso il Monastero di S. Saba sull’Aventino ( vicino la Basilica di S. Paolo fuori le mura ) ove a fianco dell’ingresso è l’Oratorio di S. Silvia.
 Da qui mandava al figlio, quando stava nel Monastero di S. Andrea, dei legumi cotti in una tazza d’argento, che poi S. Gregorio donò in elemosina, come riferisce Giovanni Diacono. Nel luogo della Chiesa di S. Gregorio al Celio una antica tradizione pone la casa paterna di Gregorio che vi costruì una chiesa in onore di S. Andrea. Qui il Cardinale Cesare Baronio, famoso annalista e commendatario della Chiesa fondò nell’orto della chiesa tre Oratori: S. Andrea, ove furono sepolte le Sante Silvia, Emiliana e Tarsilla; S. Silvia e S. Barbara.
 Un’altra tradizione vuole che S. Silvia sia stata sepolta a Preneste ( Palestrina ) nel luogo del monastero a Lei intitolato, poiché S. Silvia e il figlio Gregorio donarono ai monaci benedettini di Subiaco territori di proprietà della famiglia Anicia come quello della Wulturella con la chiesa di S. Maria ( odierna Abbazia della Mentorella ).
Il Cardinale Cesare Baronio nel 1604, restaurando la Chiesa del Santi Andrea e Gregorio al Celio in Roma, depose alcune Reliquie della Santa nell’attiguo Oratorio, a Lei dedicato.                   

 Il Papa Clemente VIII ( 1592 - 1605 )  inserì il suo nome nel Martirologio Romano: “ A Roma santa Silvia, madre di san Gregorio Magno, Papa “.
Nel “ Martirologio Siculo “ del P. Ottavio Caietano S.J. del 1617 al 12 Marzo è recensito: “ In Sicilia, S. Silviae, Matris S. Gregorij Papae Magni” , cioè:  “ In Sicilia S. Silvia, Madre di S. Gregorio Magno Papa “.
  L’Arcivescovo di Palermo Martin de Leon y Cardenas ( 1650-1655 ) inserì la Festa di S. Silvia nel Calendario Palermitano nel 1653.
 Il Calendario Liturgico Regionale delle Chiese di Sicilia, approvato dalla Sacra Congregazione per  i Sacramenti e il Culto Divino nel 1976 riporta:
”  Fu la madre di S. Gregorio Magno. Per il fatto che S. Gregorio istituì sei monasteri in Sicilia dotandoli dei suoi beni, si è pensato che S. Silvia fosse siciliana e la tradizione la vuole nata a Palermo. Dopo la morte del marito Gordiano si ritirò a vita solitaria e quasi monastica presso la Chiesa di S. Saba sull’Aventino a Roma, dove, ricca di meriti, morì nell’anno 592 “.