sabato 2 dicembre 2017

2 dicembre Santi italici ed italo greci

 
 
Saints EUSEBE, prêtre, MARCEL, diacre, et HIPPOLYTE, MAXIME, ADRIAS, PAULINE, NEON, MARIE, MARTANE et AURELIE, martyrs à Rome sous Valérien (vers 256). 
 
Saint PONTIEN, martyr à Rome avec QUATRE autres sous Valérien (vers 259). 
 
 
 
Santa Bibiana o Viviana martire a Roma sotto Giuliano l’Apostata (verso il 363)


Secondo la «Passio Bibianae», questa santa sarebbe una delle vittime della persecuzione anticristiana dell'imperatore Giuliano l'Apostata (361 - 363),. Secondo questa Passio, il governatore Apronio avrebbe mandato a morte i coniugi Fausto e Dafrosa, per impadronirsi dei loro beni. Poi volle costringere all'apostasia le loro figlie: Demetria e Bibiana. La prima sarebbe morta sotto tortura, mentre Bibiana, salda nella propria fede, dopo aver subito ogni tipo di angheria(Dapprima fu minacciata, poi blandita. Venne affidata ad una mezzana, affinché la incamminasse sulla via della perdizione Ma Santa Viviana non si fece scalfire nè dalla paura, nè dalle tentazioni della carne) fu legata alla colonna e flagellata a morte. L'ultimo scempio che fu fatto al suo giovane corpo fu quello di negargli la sepoltura. Le spoglie della giovinetta furono gettate in una fossa per essere sbranate dai cani; ma i cani, più pietosi degli uomini, non la toccarono, anzi, indicarono i miseri resti ad una pia donna, che quindi tumulò dignitosamente ciò che restava della fanciulla. 


La chiesa sull'Esquilino sorgerebbe sulla tomba della martire L'edificio originario, risalente al V secolo,(dedicata alla santa martire da Papa Simplicio )  fu ristrutturato completamente da Gian Lorenzo Bernini per volontà di papa Urbano VIII nel XVII secolo. All'interno si può ammirare una statua , eseguita dal Bernini stesso, che raffigura Santa Viviana così come l'iconografia devozionale ce l'ha consegnata. Si vede una fanciulla, appoggiata ad una colonna, che ha in mano la palma del martirio e sembra già più rivolta al cielo che alla terra, eterea e splendida nella sua giovinezza immacolata.

 
 Questa icona di San Cromazio d'Aquileia è il dono del Patriarca Bartolomeo per la Basilica di Aquileia, in ricordo dell'aiuto dato da Cromazio al predecessore del Patriarca sulla sede di Costantinopoli, San Giovanni Crisostomo
 
Santo Cromazio Vescovo di Aquileia (verso il 407 o 408)


(tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/90492)
Cromazio nasce in una famiglia benestante. Sappiamo infatti che in casa sua (dove ci sono il fratello Eusebio e tre sorelle) s’incontrano sacerdoti e laici animati da lui: una sorta di gruppo ascetico-culturale che verso il 370 accoglie anche un funzionario imperiale dimissionario: un dàlmata Girolamo. Questi arriva da Treviri, in Germania (sede stagionale degli imperatori), dove ha rinunciato alla sua carica. E in casa di Cromazio, tra letture, preghiere e discussioni, si prepara al cammino che lo condurrà in Oriente, e all’opera gigantesca di tradurre le Scritture in latino.

Il vescovo Valeriano di Aquileia ha ordinato sacerdote Cromazio, e si serve di lui per la difesa della retta professione di fede contro l’arianesimo, che in Alta Italia ha ancora sostenitori, anche tra i vescovi. Proprio per giungere a un chiarimento generale in materia di dottrina, nel 381 si riunisce ad Aquileia un Concilio regionale; e Cromazio è uno dei più autorevoli ispiratori delle sue conclusioni.
Morto poi Valeriano, è lui a succedergli come vescovo di Aquileia, e riceve la consacrazione episcopale da sant’Ambrogio di Milano. Dall’Oriente, Girolamo lo definirà il vescovo «più santo e più dotto» del suo tempo. E sicuramente egli è pure uno dei più generosi verso il traduttore della Bibbia: gli manda lettere di incoraggiamento e anche aiuti in denaro; e Girolamo ricambia dedicandogli alcune delle sue versioni bibliche.
Ma nell’Impero, governato da due imperatori “colleghi” e spesso rivali a morte, per due volte in pochi anni la guerra arriva addosso al Friuli. Due battaglie e due vittorie di Teodosio (luglio 387 e settembre 394), con l’immediata uccisione dei rivali sconfitti e le solite devastazioni e rapine della truppa. Così Teodosio rimane imperatore unico, ma alla sua morte riecco un imperatore in Italia (Ravenna) e uno a Costantinopoli: Onorio e Arcadio, figli di Teodosio.
Nel 404, un avvenimento lontano sottolinea il prestigio di Aquileia e del suo vescovo. Il patriarca di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo, è stato condannato un’altra volta all’esilio, e chiede aiuto a tre persone: papa Innocenzo I, Ambrogio di Milano e Cromazio di Aquileia. Il quale interviene presso Onorio, ma invano. Il patriarca morirà in esilio.
Le delusioni non fermano la sua operosità di promotore di cultura cristiana. Tra un’invasione e l’altra (anche i Visigoti, ora) aiuta e incoraggia studiosi; e uno se lo prende in casa, Rufino di Aquileia, per fargli continuare la Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea. E quando Rufino e Girolamo polemizzano tra loro, fa di tutto per riconciliarli e riportarli allo scrittoio. Anche lui, Cromazio, studia e scrive: conosciamo una raccolta di suoi sermoni e un commento parziale al Vangelo di Matteo. Morì in esilio a Grado a motivo delle scorribande  dei barbari sulle terre della diocesi di Aquileia

Tratto da

Cromazio fu sapiente maestro e zelante Pastore. Il suo primo e principale impegno fu quello di porsi in ascolto della Parola, per essere capace di farsene poi annunciatore: nel suo insegnamento egli parte sempre dalla Parola di Dio e ad essa sempre ritorna. Alcune tematiche gli sono particolarmente care: anzitutto il mistero trinitario, che egli contempla nella sua rivelazione lungo tutta la storia della salvezza. Poi il tema dello Spirito Santo: Cromazio richiama costantemente i fedeli alla presenza e all’azione della terza Persona della Santissima Trinità nella vita della Chiesa. Ma con particolare insistenza il santo Vescovo ritorna sul mistero di Cristo. Il Verbo incarnato è vero Dio e vero uomo: ha assunto integralmente l’umanità, per farle dono della propria divinità. Queste verità, ribadite con insistenza anche in funzione antiariana, approderanno una cinquantina di anni più tardi alla definizione del Concilio di Calcedonia. La forte sottolineatura della natura umana di Cristo conduce Cromazio a parlare della Vergine Maria. La sua dottrina mariologica è tersa e precisa. A lui dobbiamo alcune suggestive descrizioni della Vergine Santissima: Maria è la «vergine evangelica capace di accogliere Dio»; è la «pecorella immacolata e inviolata», che ha generato l’«agnello ammantato di porpora» (cfr Sermone XXIII,3). Il Vescovo di Aquileia mette spesso la Vergine in relazione con la Chiesa: entrambe, infatti, sono «vergini» e «madri». L’ecclesiologia di Cromazio è sviluppata soprattutto nel commento a Matteo. Ecco alcuni concetti ricorrenti: la Chiesa è unica, è nata dal sangue di Cristo; è veste preziosa intessuta dallo Spirito Santo; la Chiesa è là dove si annuncia che Cristo è nato dalla Vergine, dove fiorisce la fraternità e la concordia. Un’immagine a cui Cromazio è particolarmente affezionato è quella della nave sul mare in tempesta – e i suoi erano tempi di tempesta, come abbiamo sentito –: «Non c’è dubbio», afferma il santo Vescovo, «che questa nave rappresenta la Chiesa» (cfr Trattato XLII,5).
Da zelante Pastore qual è, Cromazio sa parlare alla sua gente con linguaggio fresco, colorito e incisivo. Pur non ignorando il perfetto cursus latino, preferisce ricorrere al linguaggio popolare, ricco di immagini facilmente comprensibili. Così, ad esempio, prendendo spunto dal mare, egli mette a confronto, da una parte, la pesca naturale di pesci che, tirati a riva, muoiono e, dall’altra, la predicazione evangelica, grazie alla quale gli uomini vengono tratti in salvo dalle acque limacciose della morte, e introdotti alla vita vera (cfr Trattato XVI,3). Sempre nell’ottica del buon Pastore, in un periodo burrascoso come il suo, funestato dalle scorrerie dei barbari, egli sa mettersi a fianco dei fedeli per confortarli e per aprirne l’animo alla fiducia in Dio, che non abbandona mai i suoi figli.
Raccogliamo infine, a conclusione di queste riflessioni, un’esortazione di Cromazio, ancor oggi perfettamente valida: «Preghiamo il Signore con tutto il cuore e con tutta la fede – raccomanda il Vescovo di Aquileia in un suo sermone –, preghiamolo di liberarci da ogni incursione dei nemici, da ogni timore degli avversari. Non guardi i nostri meriti, ma la sua misericordia, Lui che anche in passato si degnò di liberare i figli di Israele non per i loro meriti, ma per la sua misericordia. Ci protegga con il solito amore misericordioso e operi per noi ciò che il santo Mosè disse ai figli di Israele: “Il Signore combatterà in vostra difesa, e voi starete in silenzio” (cfr Es 14,14). È Lui che combatte, è Lui che riporta la vittoria … E affinché si degni di farlo, dobbiamo pregare il più possibile. Egli stesso infatti dice per bocca del profeta: “Invocami nel giorno della tribolazione; io ti libererò, e tu mi darai gloria” (cfr Sal 50,15)» (Sermone XVI,4).

 

Santo Pietro Crisologo vescovo di Ravenna (dies natalis in un periodo tra il 449  e il 458)


PIETRO Crisologo, santo. – Primo metropolita dell’Emilia, attestato nei decenni centrali del V secolo; venne così denominato a partire dal IX secolo per la raffinata eloquenza (da chrisòs «oro» e lògos «parola»).
Il Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis di Andrea Agnello (IX secolo), la più antica fonte a nostra disposizione per la biografia di Pietro Crisologo, contiene non poche inesattezze. Buona parte delle notizie che lo riguardano sono riportate da Agnello nella vita di Pietro II (Liber Pontificalis, a cura di O. Holder-Egger, 1878, pp. 289-291; a cura di D. Mauskopf Deliyannis, 2006, pp. 208-218) con il quale viene identificato, mentre in realtà si tratterebbe di Pietro (I) antistes (Liber Pontificalis, ed. Holder-Egger, pp. 310-315; ed. Mauskopf Deliyannis, pp. 170-175) vissuto all’epoca di Galla Placidia (388/392-450) e dell’imperatore Valentiniano III (425-455). A Pietro I viene inoltre erroneamente attribuita la costruzione del battistero della basilica petriana a Classe e di un edificio detto Tricoli, che invece furono fatti realizzare da Pietro II, mentre i dati relativi alla sua morte e sepoltura sono da riferire a Pietro (III) senior (Liber Pontificalis, ed. Holder-Egger, pp. 337-341; ed. Mauskopf Deliyannis, pp. 258-265).
La notizia riportata da Agnello sulle origini imolesi di Pietro Crisologo e sulla sua formazione sotto la guida del vescovo Cornelio («Natione ex Corneliense territorio, nutritus et doctus a Cornelio illius sedis antistes»: Liber Pontificalis 47, ed. Holder-Egger, p. 310; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 208) potrebbe trovare fondamento nel sermone pronunciato dallo stesso vescovo ravennate in occasione della consacrazione di Proietto (m. 483) come nuovo presule del Forum Cornelii. Nell’incipit egli esprime una particolare devozione nei confronti della Chiesa imolese («sed Corneliensi ecclesiae inservire peculiarius ipsius nominis amore compellor») e riconosce Cornelio come padre spirituale («pater mihi fuit»; Sermo 165, in Sermoni III, p. 252, rr. 4-14).
Più controverso appare il passo del Liber Pontificalis sull’elezione episcopale. Il diacono Pietro, insieme allo stesso Cornelio, partecipò alla delegazione diretta a Roma per la consacrazione del nuovo vescovo eletto a Ravenna dopo la morte di Orso (m. 424-429?). L’episodio riprende il topos agiografico dell’agnizione conseguente alla visione notturna, qui attribuita a papa Sisto III (432-440) a cui Pietro sarebbe apparso in sogno affiancato dai santi Pietro e Apollinare. Il principe degli Apostoli lo avrebbe indicato come l’unico in grado di illuminare la Chiesa ravennate con la propria dottrina («ut pinguedo olei lucerne illuminans, cum ab igne fuerit applicata»). Il pontefice si rifiutò allora di consacrare colui che era stato eletto nella capitale dell’impero d’Occidente, o qualsiasi altro candidato, fino a quando non scorse Pietro fra i membri della delegazione: la scelta di costui, inizialmente contestata da una parte dei presenti («non ex nostro fuit ovile»), si concluse con la proclamazione da parte del papa (Liber Pontificalis 49, ed. Holder-Egger, pp. 311 s.; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 213). La fonte è messa tuttavia in discussione dalla cronologia del sermonario di Pietro Crisologo, che anticipa l’inizio della sua attività fra il 425, dopo che divenne imperatore Valentiniano III, e poco prima del 431, quando Ravenna fu elevata al rango metropolitano.
Nel corso del suo episcopato il vescovo pronunciò numerose omelie che furono raccolte per la prima volta dal suo successore Felice (708-724), senza un preciso ordine cronologico o una qualche suddivisione per argomento. I centosessantotto sermoni, ai quali se ne assommano quindici extravagantes, rappresentano una fonte importante sull’affermazione della Chiesa ravennate nel quadro della gerarchia delle sedi vescovili nonché sulla liturgia ravennate e sull’ordinamento delle letture evangeliche. Il ricordo della morte e della sepoltura di s. Apollinare nel sermone 128 costituisce una delle prime attestazioni del culto tributato al martire (Sermo 128, in Sermoni III, 3, p. 34, rr. 37-41). I sermoni, oltre a documentare la posizione del vescovo intorno alle dispute dottrinali dell’epoca, in particolare alla controversia cristologica sulla divina maternità di Maria (Sermo 145, in Sermoni III, 6, p. 134, rr. 74-88), attestano la sua dura opposizione nei riguardi del giudaismo (Sermo 164, in Sermoni III, 8, p. 250, rr. 75-103), dell’eresia (Sermo 109, in Sermoni II, 4, pp. 329 s., rr. 74-88) e della persistenza delle ritualità pagane (Sermo 155, in Sermoni III, pp. 188-190; 155 bis, ibid., pp. 192-194).
Insieme a Galla Placidia, alla quale si rivolge con l’epiteto di mater christiani perennis et fidelis imperii in un’omelia di ordinazione episcopale pronunciata alla presenza della famiglia imperiale (Sermo 130, in Sermoni III, 3, p. 43, rr. 35-45), edificò la basilica petriana a Classe e quella di S. Giovanni Evangelista a Ravenna (420-430), nella cui abside, sopra la cattedra episcopale, l’augusta volle effigiata l’immagine del vescovo affiancato da un angelo e raffigurato con una lunga barba e le mani protese nell’atto di celebrare la messa (Liber Pontificalis 27, ed. Holder-Egger, p. 291; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 174).
La notizia in Agnello della consacrazione della basilica dei Ss. Giovanni e Barbaziano da parte di Pietro (Liber Pontificalis 51, ed. Holder-Egger, p. 313; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 215), invece, non può ritenersi attendibile.
Nel 448 Pietro accolse nella propria sede il vescovo Germano di Auxerre (378-448), giunto a Ravenna per intercedere a favore degli Armoricani presso Valentiniano III. In seguito alla morte improvvisa del presule gallico dopo una malattia durata sette giorni, il vescovo ravennate ne serbò la cocolla e il cilicio mentre all’imperatrice Galla Placidia, che si era presa personalmente cura del morente, fu riservata la capsella contenente alcune sante reliquie (Constance de Lyon, 1965, VI, 28, p. 174; VII, 35, p. 188; VII, 42, p. 198; VIII, 43, p. 200).
Nel 449, in quanto vescovo della sede imperiale d’Occidente, Pietro fu interpellato dal presbitero e archimandrita costantinopolitano Eutiche che era stato condannato per la posizione monofisita nel corso della sinodo di Costantinopoli (448) presieduta dal patriarca Flaviano (m. 449). Il nostro ribadì la sua posizione dottrinale sulla questione cristologica e si mantenne al di fuori della controversia in assenza di un riscontro scritto da parte di Flaviano, quindi esortò Eutiche a sottomettersi alle decisioni del papa Leone I (440-461) (ACO II, 3,1, pp. 6 s.; Sermoni III, pp. 340-342).
La lettera risale probabilmente allo stesso periodo in cui Eutiche rivolse, prima del 18 febbraio 449, un appello al pontefice al quale egli rispose con un tono prudente (ACO II, 4, pp. 3-5). Se nel testo di Pietro si vuole cogliere un riferimento al Tomus ad Flavianum di Leone Magno (ACO II, 2, 1, pp. 24-33), la sua risposta potrebbe essere stata redatta dopo il 13 giugno 449.
È probabile che sia morto fra il 451 e il 458, anno in cui già esercitava la propria attività pastorale il suo successore, il vescovo Neone.
Le circostanze della scomparsa sono descritte da Agnello che, anche in questo caso, si avvale di stilemi agiografici. Il vescovo ravennate fece il proprio ingresso nella basilica di S. Cassiano a Imola, offrì doni preziosi al martire («cratere aureo uno e patera argentea altera et diademata aurea magna preciosissimis gemmis ornata») che furono santificati attraverso il contatto con le spoglie di quest’ultimo («omnia a sancti Cassiani corpore imbuit»), poi li depose sull’altare. Pietro benedisse la folla e pronunciò una lunga preghiera di commiato. Infine, dopo aver ricordato la propria formazione in seno alla chiesa imolese, affidò l’anima a Dio e il proprio corpo al santo spirando fra le lacrime dei presenti il giorno 3 dicembre. Fu seppellito per sua volontà dietro la chiesa in luogo da lui indicato (Liber Pontificalis 52, ed. Holder-Egger, pp. 314 s.; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 218).
La scelta della sepoltura nei pressi della tomba di Cassiano, secondo la prassi della inumazione ad santos, sarebbe avvenuta, dunque, al di fuori della sede episcopale ma pur sempre in una località sottoposta alla giurisdizione territoriale del vescovo ravennate.
La notizia è stata oggetto di dibattito da parte degli studiosi, tuttavia una tale decisione, che potrebbe essere dipesa dalla volontà di farsi inumare accanto al patrono della chiesa che lo aveva cresciuto, non può essere spiegata solo con l’assenza a Ravenna di importanti edifici di culto martiriale, per quanto nel V secolo sia attestata l’esistenza di un piccolo oratorio (ritrovato sotto il pavimento della basilica di S. Vitale), considerato come il primo santuario del martire Vitale, e lo stesso Crisologo nel sermone 128 facesse menzione generica della sepoltura in area ravennate del martire Apollinare. La basilica dedicata al patrono ravennate sorse a Classe solo nel VI secolo.
Fonti e Bibl.: Sancti Petri Chrysologi Collectio sermonum a Felice episcopo parata, sermonibus extravagantibus adiectis, a cura di A. Olivar, in Corpus Christianorum, Series Latina, 24-24A, Turnhout 1975-1981; Opere di San Pier Crisologo. Sermoni [1-62 bis], a cura di G. Banterle et al., I, Milano-Roma 1996; Sermoni [63-124], II, Milano-Roma 1997; Sermoni [125-179] e Lettera a Eutiche, III, Milano-Roma 1997; Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, a cura di O. Holder-Egger, in MGH, Scriptores rerum langobardicarum et italicarum saec. VI-IX, Hannover 1878; Agnellus Ravennas Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, a cura di D. Mauskopf Deliyannis, in Corpus Christianorum, Continuatio Mediaevalis, 199, Turnhout 2006; Constance de Lyon, Vie de Saint Germain d’Auxerre, a cura di René Borius, Paris 1965; Acta conciliorum oecomenicorum (= ACO), a cura di. E. Schwartz, II, Berolini-Lipsiae 1932; G. Lucchesi, Note intorno a san Pier Crisologo, in Studi Romagnoli, III (1952), pp. 97-104; Patrologia, III, Dal Concilio di Nicea (325) al Concilio di Calcedonia (451). I padri latini, a cura di A. Di Berardino, Torino 1978 (rist. 1992), pp. 544 s.; G. Cortesi, Cinque note su san Pier Crisologo, in Felix Ravenna, CXXVII-CXXX (1984-1985), pp. 117-132; J.-C. Picard, Les souvenir des évêques. Sépultures, listes épiscopales et culte des évêques en Italie du Nord des origines au Xe siècle, Roma 1988, pp. 148 s., 177 s., 484; R. Benericetti, Il Cristo nei sermoni di S. Pier Crisologo, Cesena 1995, pp. 57-66; Prosopographie de l’Italie chrétienne (313-604), sous la direction de C. Pietri - L. Pietri, II (L-Z), Roma 2000, pp. 1728-1730; D. Mauskopf Deliyannis, Ravenna in late antiquity, Cambridge 2010, pp. 68 s., 84-86, 196 s.; F. Trisoglio, Introduzione a Pietro Crisologo, Brescia 2012.