sabato 2 dicembre 2017

2 dicembre Santi italici ed italo greci

 
 
Saints EUSEBE, prêtre, MARCEL, diacre, et HIPPOLYTE, MAXIME, ADRIAS, PAULINE, NEON, MARIE, MARTANE et AURELIE, martyrs à Rome sous Valérien (vers 256). 
 
Saint PONTIEN, martyr à Rome avec QUATRE autres sous Valérien (vers 259). 
 
 
 
Santa Bibiana o Viviana martire a Roma sotto Giuliano l’Apostata (verso il 363)


Secondo la «Passio Bibianae», questa santa sarebbe una delle vittime della persecuzione anticristiana dell'imperatore Giuliano l'Apostata (361 - 363),. Secondo questa Passio, il governatore Apronio avrebbe mandato a morte i coniugi Fausto e Dafrosa, per impadronirsi dei loro beni. Poi volle costringere all'apostasia le loro figlie: Demetria e Bibiana. La prima sarebbe morta sotto tortura, mentre Bibiana, salda nella propria fede, dopo aver subito ogni tipo di angheria(Dapprima fu minacciata, poi blandita. Venne affidata ad una mezzana, affinché la incamminasse sulla via della perdizione Ma Santa Viviana non si fece scalfire nè dalla paura, nè dalle tentazioni della carne) fu legata alla colonna e flagellata a morte. L'ultimo scempio che fu fatto al suo giovane corpo fu quello di negargli la sepoltura. Le spoglie della giovinetta furono gettate in una fossa per essere sbranate dai cani; ma i cani, più pietosi degli uomini, non la toccarono, anzi, indicarono i miseri resti ad una pia donna, che quindi tumulò dignitosamente ciò che restava della fanciulla. 


La chiesa sull'Esquilino sorgerebbe sulla tomba della martire L'edificio originario, risalente al V secolo,(dedicata alla santa martire da Papa Simplicio )  fu ristrutturato completamente da Gian Lorenzo Bernini per volontà di papa Urbano VIII nel XVII secolo. All'interno si può ammirare una statua , eseguita dal Bernini stesso, che raffigura Santa Viviana così come l'iconografia devozionale ce l'ha consegnata. Si vede una fanciulla, appoggiata ad una colonna, che ha in mano la palma del martirio e sembra già più rivolta al cielo che alla terra, eterea e splendida nella sua giovinezza immacolata.

 
 Questa icona di San Cromazio d'Aquileia è il dono del Patriarca Bartolomeo per la Basilica di Aquileia, in ricordo dell'aiuto dato da Cromazio al predecessore del Patriarca sulla sede di Costantinopoli, San Giovanni Crisostomo
 
Santo Cromazio Vescovo di Aquileia (verso il 407 o 408)


(tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/90492)
Cromazio nasce in una famiglia benestante. Sappiamo infatti che in casa sua (dove ci sono il fratello Eusebio e tre sorelle) s’incontrano sacerdoti e laici animati da lui: una sorta di gruppo ascetico-culturale che verso il 370 accoglie anche un funzionario imperiale dimissionario: un dàlmata Girolamo. Questi arriva da Treviri, in Germania (sede stagionale degli imperatori), dove ha rinunciato alla sua carica. E in casa di Cromazio, tra letture, preghiere e discussioni, si prepara al cammino che lo condurrà in Oriente, e all’opera gigantesca di tradurre le Scritture in latino.

Il vescovo Valeriano di Aquileia ha ordinato sacerdote Cromazio, e si serve di lui per la difesa della retta professione di fede contro l’arianesimo, che in Alta Italia ha ancora sostenitori, anche tra i vescovi. Proprio per giungere a un chiarimento generale in materia di dottrina, nel 381 si riunisce ad Aquileia un Concilio regionale; e Cromazio è uno dei più autorevoli ispiratori delle sue conclusioni.
Morto poi Valeriano, è lui a succedergli come vescovo di Aquileia, e riceve la consacrazione episcopale da sant’Ambrogio di Milano. Dall’Oriente, Girolamo lo definirà il vescovo «più santo e più dotto» del suo tempo. E sicuramente egli è pure uno dei più generosi verso il traduttore della Bibbia: gli manda lettere di incoraggiamento e anche aiuti in denaro; e Girolamo ricambia dedicandogli alcune delle sue versioni bibliche.
Ma nell’Impero, governato da due imperatori “colleghi” e spesso rivali a morte, per due volte in pochi anni la guerra arriva addosso al Friuli. Due battaglie e due vittorie di Teodosio (luglio 387 e settembre 394), con l’immediata uccisione dei rivali sconfitti e le solite devastazioni e rapine della truppa. Così Teodosio rimane imperatore unico, ma alla sua morte riecco un imperatore in Italia (Ravenna) e uno a Costantinopoli: Onorio e Arcadio, figli di Teodosio.
Nel 404, un avvenimento lontano sottolinea il prestigio di Aquileia e del suo vescovo. Il patriarca di Costantinopoli, Giovanni Crisostomo, è stato condannato un’altra volta all’esilio, e chiede aiuto a tre persone: papa Innocenzo I, Ambrogio di Milano e Cromazio di Aquileia. Il quale interviene presso Onorio, ma invano. Il patriarca morirà in esilio.
Le delusioni non fermano la sua operosità di promotore di cultura cristiana. Tra un’invasione e l’altra (anche i Visigoti, ora) aiuta e incoraggia studiosi; e uno se lo prende in casa, Rufino di Aquileia, per fargli continuare la Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea. E quando Rufino e Girolamo polemizzano tra loro, fa di tutto per riconciliarli e riportarli allo scrittoio. Anche lui, Cromazio, studia e scrive: conosciamo una raccolta di suoi sermoni e un commento parziale al Vangelo di Matteo. Morì in esilio a Grado a motivo delle scorribande  dei barbari sulle terre della diocesi di Aquileia

Tratto da

Cromazio fu sapiente maestro e zelante Pastore. Il suo primo e principale impegno fu quello di porsi in ascolto della Parola, per essere capace di farsene poi annunciatore: nel suo insegnamento egli parte sempre dalla Parola di Dio e ad essa sempre ritorna. Alcune tematiche gli sono particolarmente care: anzitutto il mistero trinitario, che egli contempla nella sua rivelazione lungo tutta la storia della salvezza. Poi il tema dello Spirito Santo: Cromazio richiama costantemente i fedeli alla presenza e all’azione della terza Persona della Santissima Trinità nella vita della Chiesa. Ma con particolare insistenza il santo Vescovo ritorna sul mistero di Cristo. Il Verbo incarnato è vero Dio e vero uomo: ha assunto integralmente l’umanità, per farle dono della propria divinità. Queste verità, ribadite con insistenza anche in funzione antiariana, approderanno una cinquantina di anni più tardi alla definizione del Concilio di Calcedonia. La forte sottolineatura della natura umana di Cristo conduce Cromazio a parlare della Vergine Maria. La sua dottrina mariologica è tersa e precisa. A lui dobbiamo alcune suggestive descrizioni della Vergine Santissima: Maria è la «vergine evangelica capace di accogliere Dio»; è la «pecorella immacolata e inviolata», che ha generato l’«agnello ammantato di porpora» (cfr Sermone XXIII,3). Il Vescovo di Aquileia mette spesso la Vergine in relazione con la Chiesa: entrambe, infatti, sono «vergini» e «madri». L’ecclesiologia di Cromazio è sviluppata soprattutto nel commento a Matteo. Ecco alcuni concetti ricorrenti: la Chiesa è unica, è nata dal sangue di Cristo; è veste preziosa intessuta dallo Spirito Santo; la Chiesa è là dove si annuncia che Cristo è nato dalla Vergine, dove fiorisce la fraternità e la concordia. Un’immagine a cui Cromazio è particolarmente affezionato è quella della nave sul mare in tempesta – e i suoi erano tempi di tempesta, come abbiamo sentito –: «Non c’è dubbio», afferma il santo Vescovo, «che questa nave rappresenta la Chiesa» (cfr Trattato XLII,5).
Da zelante Pastore qual è, Cromazio sa parlare alla sua gente con linguaggio fresco, colorito e incisivo. Pur non ignorando il perfetto cursus latino, preferisce ricorrere al linguaggio popolare, ricco di immagini facilmente comprensibili. Così, ad esempio, prendendo spunto dal mare, egli mette a confronto, da una parte, la pesca naturale di pesci che, tirati a riva, muoiono e, dall’altra, la predicazione evangelica, grazie alla quale gli uomini vengono tratti in salvo dalle acque limacciose della morte, e introdotti alla vita vera (cfr Trattato XVI,3). Sempre nell’ottica del buon Pastore, in un periodo burrascoso come il suo, funestato dalle scorrerie dei barbari, egli sa mettersi a fianco dei fedeli per confortarli e per aprirne l’animo alla fiducia in Dio, che non abbandona mai i suoi figli.
Raccogliamo infine, a conclusione di queste riflessioni, un’esortazione di Cromazio, ancor oggi perfettamente valida: «Preghiamo il Signore con tutto il cuore e con tutta la fede – raccomanda il Vescovo di Aquileia in un suo sermone –, preghiamolo di liberarci da ogni incursione dei nemici, da ogni timore degli avversari. Non guardi i nostri meriti, ma la sua misericordia, Lui che anche in passato si degnò di liberare i figli di Israele non per i loro meriti, ma per la sua misericordia. Ci protegga con il solito amore misericordioso e operi per noi ciò che il santo Mosè disse ai figli di Israele: “Il Signore combatterà in vostra difesa, e voi starete in silenzio” (cfr Es 14,14). È Lui che combatte, è Lui che riporta la vittoria … E affinché si degni di farlo, dobbiamo pregare il più possibile. Egli stesso infatti dice per bocca del profeta: “Invocami nel giorno della tribolazione; io ti libererò, e tu mi darai gloria” (cfr Sal 50,15)» (Sermone XVI,4).

 

Santo Pietro Crisologo vescovo di Ravenna (dies natalis in un periodo tra il 449  e il 458)


PIETRO Crisologo, santo. – Primo metropolita dell’Emilia, attestato nei decenni centrali del V secolo; venne così denominato a partire dal IX secolo per la raffinata eloquenza (da chrisòs «oro» e lògos «parola»).
Il Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis di Andrea Agnello (IX secolo), la più antica fonte a nostra disposizione per la biografia di Pietro Crisologo, contiene non poche inesattezze. Buona parte delle notizie che lo riguardano sono riportate da Agnello nella vita di Pietro II (Liber Pontificalis, a cura di O. Holder-Egger, 1878, pp. 289-291; a cura di D. Mauskopf Deliyannis, 2006, pp. 208-218) con il quale viene identificato, mentre in realtà si tratterebbe di Pietro (I) antistes (Liber Pontificalis, ed. Holder-Egger, pp. 310-315; ed. Mauskopf Deliyannis, pp. 170-175) vissuto all’epoca di Galla Placidia (388/392-450) e dell’imperatore Valentiniano III (425-455). A Pietro I viene inoltre erroneamente attribuita la costruzione del battistero della basilica petriana a Classe e di un edificio detto Tricoli, che invece furono fatti realizzare da Pietro II, mentre i dati relativi alla sua morte e sepoltura sono da riferire a Pietro (III) senior (Liber Pontificalis, ed. Holder-Egger, pp. 337-341; ed. Mauskopf Deliyannis, pp. 258-265).
La notizia riportata da Agnello sulle origini imolesi di Pietro Crisologo e sulla sua formazione sotto la guida del vescovo Cornelio («Natione ex Corneliense territorio, nutritus et doctus a Cornelio illius sedis antistes»: Liber Pontificalis 47, ed. Holder-Egger, p. 310; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 208) potrebbe trovare fondamento nel sermone pronunciato dallo stesso vescovo ravennate in occasione della consacrazione di Proietto (m. 483) come nuovo presule del Forum Cornelii. Nell’incipit egli esprime una particolare devozione nei confronti della Chiesa imolese («sed Corneliensi ecclesiae inservire peculiarius ipsius nominis amore compellor») e riconosce Cornelio come padre spirituale («pater mihi fuit»; Sermo 165, in Sermoni III, p. 252, rr. 4-14).
Più controverso appare il passo del Liber Pontificalis sull’elezione episcopale. Il diacono Pietro, insieme allo stesso Cornelio, partecipò alla delegazione diretta a Roma per la consacrazione del nuovo vescovo eletto a Ravenna dopo la morte di Orso (m. 424-429?). L’episodio riprende il topos agiografico dell’agnizione conseguente alla visione notturna, qui attribuita a papa Sisto III (432-440) a cui Pietro sarebbe apparso in sogno affiancato dai santi Pietro e Apollinare. Il principe degli Apostoli lo avrebbe indicato come l’unico in grado di illuminare la Chiesa ravennate con la propria dottrina («ut pinguedo olei lucerne illuminans, cum ab igne fuerit applicata»). Il pontefice si rifiutò allora di consacrare colui che era stato eletto nella capitale dell’impero d’Occidente, o qualsiasi altro candidato, fino a quando non scorse Pietro fra i membri della delegazione: la scelta di costui, inizialmente contestata da una parte dei presenti («non ex nostro fuit ovile»), si concluse con la proclamazione da parte del papa (Liber Pontificalis 49, ed. Holder-Egger, pp. 311 s.; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 213). La fonte è messa tuttavia in discussione dalla cronologia del sermonario di Pietro Crisologo, che anticipa l’inizio della sua attività fra il 425, dopo che divenne imperatore Valentiniano III, e poco prima del 431, quando Ravenna fu elevata al rango metropolitano.
Nel corso del suo episcopato il vescovo pronunciò numerose omelie che furono raccolte per la prima volta dal suo successore Felice (708-724), senza un preciso ordine cronologico o una qualche suddivisione per argomento. I centosessantotto sermoni, ai quali se ne assommano quindici extravagantes, rappresentano una fonte importante sull’affermazione della Chiesa ravennate nel quadro della gerarchia delle sedi vescovili nonché sulla liturgia ravennate e sull’ordinamento delle letture evangeliche. Il ricordo della morte e della sepoltura di s. Apollinare nel sermone 128 costituisce una delle prime attestazioni del culto tributato al martire (Sermo 128, in Sermoni III, 3, p. 34, rr. 37-41). I sermoni, oltre a documentare la posizione del vescovo intorno alle dispute dottrinali dell’epoca, in particolare alla controversia cristologica sulla divina maternità di Maria (Sermo 145, in Sermoni III, 6, p. 134, rr. 74-88), attestano la sua dura opposizione nei riguardi del giudaismo (Sermo 164, in Sermoni III, 8, p. 250, rr. 75-103), dell’eresia (Sermo 109, in Sermoni II, 4, pp. 329 s., rr. 74-88) e della persistenza delle ritualità pagane (Sermo 155, in Sermoni III, pp. 188-190; 155 bis, ibid., pp. 192-194).
Insieme a Galla Placidia, alla quale si rivolge con l’epiteto di mater christiani perennis et fidelis imperii in un’omelia di ordinazione episcopale pronunciata alla presenza della famiglia imperiale (Sermo 130, in Sermoni III, 3, p. 43, rr. 35-45), edificò la basilica petriana a Classe e quella di S. Giovanni Evangelista a Ravenna (420-430), nella cui abside, sopra la cattedra episcopale, l’augusta volle effigiata l’immagine del vescovo affiancato da un angelo e raffigurato con una lunga barba e le mani protese nell’atto di celebrare la messa (Liber Pontificalis 27, ed. Holder-Egger, p. 291; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 174).
La notizia in Agnello della consacrazione della basilica dei Ss. Giovanni e Barbaziano da parte di Pietro (Liber Pontificalis 51, ed. Holder-Egger, p. 313; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 215), invece, non può ritenersi attendibile.
Nel 448 Pietro accolse nella propria sede il vescovo Germano di Auxerre (378-448), giunto a Ravenna per intercedere a favore degli Armoricani presso Valentiniano III. In seguito alla morte improvvisa del presule gallico dopo una malattia durata sette giorni, il vescovo ravennate ne serbò la cocolla e il cilicio mentre all’imperatrice Galla Placidia, che si era presa personalmente cura del morente, fu riservata la capsella contenente alcune sante reliquie (Constance de Lyon, 1965, VI, 28, p. 174; VII, 35, p. 188; VII, 42, p. 198; VIII, 43, p. 200).
Nel 449, in quanto vescovo della sede imperiale d’Occidente, Pietro fu interpellato dal presbitero e archimandrita costantinopolitano Eutiche che era stato condannato per la posizione monofisita nel corso della sinodo di Costantinopoli (448) presieduta dal patriarca Flaviano (m. 449). Il nostro ribadì la sua posizione dottrinale sulla questione cristologica e si mantenne al di fuori della controversia in assenza di un riscontro scritto da parte di Flaviano, quindi esortò Eutiche a sottomettersi alle decisioni del papa Leone I (440-461) (ACO II, 3,1, pp. 6 s.; Sermoni III, pp. 340-342).
La lettera risale probabilmente allo stesso periodo in cui Eutiche rivolse, prima del 18 febbraio 449, un appello al pontefice al quale egli rispose con un tono prudente (ACO II, 4, pp. 3-5). Se nel testo di Pietro si vuole cogliere un riferimento al Tomus ad Flavianum di Leone Magno (ACO II, 2, 1, pp. 24-33), la sua risposta potrebbe essere stata redatta dopo il 13 giugno 449.
È probabile che sia morto fra il 451 e il 458, anno in cui già esercitava la propria attività pastorale il suo successore, il vescovo Neone.
Le circostanze della scomparsa sono descritte da Agnello che, anche in questo caso, si avvale di stilemi agiografici. Il vescovo ravennate fece il proprio ingresso nella basilica di S. Cassiano a Imola, offrì doni preziosi al martire («cratere aureo uno e patera argentea altera et diademata aurea magna preciosissimis gemmis ornata») che furono santificati attraverso il contatto con le spoglie di quest’ultimo («omnia a sancti Cassiani corpore imbuit»), poi li depose sull’altare. Pietro benedisse la folla e pronunciò una lunga preghiera di commiato. Infine, dopo aver ricordato la propria formazione in seno alla chiesa imolese, affidò l’anima a Dio e il proprio corpo al santo spirando fra le lacrime dei presenti il giorno 3 dicembre. Fu seppellito per sua volontà dietro la chiesa in luogo da lui indicato (Liber Pontificalis 52, ed. Holder-Egger, pp. 314 s.; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 218).
La scelta della sepoltura nei pressi della tomba di Cassiano, secondo la prassi della inumazione ad santos, sarebbe avvenuta, dunque, al di fuori della sede episcopale ma pur sempre in una località sottoposta alla giurisdizione territoriale del vescovo ravennate.
La notizia è stata oggetto di dibattito da parte degli studiosi, tuttavia una tale decisione, che potrebbe essere dipesa dalla volontà di farsi inumare accanto al patrono della chiesa che lo aveva cresciuto, non può essere spiegata solo con l’assenza a Ravenna di importanti edifici di culto martiriale, per quanto nel V secolo sia attestata l’esistenza di un piccolo oratorio (ritrovato sotto il pavimento della basilica di S. Vitale), considerato come il primo santuario del martire Vitale, e lo stesso Crisologo nel sermone 128 facesse menzione generica della sepoltura in area ravennate del martire Apollinare. La basilica dedicata al patrono ravennate sorse a Classe solo nel VI secolo.
Fonti e Bibl.: Sancti Petri Chrysologi Collectio sermonum a Felice episcopo parata, sermonibus extravagantibus adiectis, a cura di A. Olivar, in Corpus Christianorum, Series Latina, 24-24A, Turnhout 1975-1981; Opere di San Pier Crisologo. Sermoni [1-62 bis], a cura di G. Banterle et al., I, Milano-Roma 1996; Sermoni [63-124], II, Milano-Roma 1997; Sermoni [125-179] e Lettera a Eutiche, III, Milano-Roma 1997; Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, a cura di O. Holder-Egger, in MGH, Scriptores rerum langobardicarum et italicarum saec. VI-IX, Hannover 1878; Agnellus Ravennas Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, a cura di D. Mauskopf Deliyannis, in Corpus Christianorum, Continuatio Mediaevalis, 199, Turnhout 2006; Constance de Lyon, Vie de Saint Germain d’Auxerre, a cura di René Borius, Paris 1965; Acta conciliorum oecomenicorum (= ACO), a cura di. E. Schwartz, II, Berolini-Lipsiae 1932; G. Lucchesi, Note intorno a san Pier Crisologo, in Studi Romagnoli, III (1952), pp. 97-104; Patrologia, III, Dal Concilio di Nicea (325) al Concilio di Calcedonia (451). I padri latini, a cura di A. Di Berardino, Torino 1978 (rist. 1992), pp. 544 s.; G. Cortesi, Cinque note su san Pier Crisologo, in Felix Ravenna, CXXVII-CXXX (1984-1985), pp. 117-132; J.-C. Picard, Les souvenir des évêques. Sépultures, listes épiscopales et culte des évêques en Italie du Nord des origines au Xe siècle, Roma 1988, pp. 148 s., 177 s., 484; R. Benericetti, Il Cristo nei sermoni di S. Pier Crisologo, Cesena 1995, pp. 57-66; Prosopographie de l’Italie chrétienne (313-604), sous la direction de C. Pietri - L. Pietri, II (L-Z), Roma 2000, pp. 1728-1730; D. Mauskopf Deliyannis, Ravenna in late antiquity, Cambridge 2010, pp. 68 s., 84-86, 196 s.; F. Trisoglio, Introduzione a Pietro Crisologo, Brescia 2012.



 

giovedì 5 ottobre 2017

Santi di Sicilia primo millennio per il 5 ottobre

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Sante reliquie di Santo Placido martire sono venerate presso la Chiesa Ortodossa di San Caralampo a Palermo dietro il Teatro Massimo  Via delle Mura di San Vito dopo la Caserma dei Carabinieri 
La Chiesa Ortodossa di San Caralampo appartiene alla Diocesi Ortodossa Romena d'Italia


Santi martiri a Messina per mano dei pirati pagani nel 541: Placido monaco,Firmato diacono e monaco, Gordiano monaco, Faustino monaco,Donato monaco,Eutiche e Vittorino,fratelli di San Placido,Flavia vergine e sorella di San Placido ed altri 28 monaci  

Martirologio Romano (5 ottobre): A Messina, in Sicilia, il natale dei
santi Martiri Placido Monaco (uno dei discepoli del beato Benedetto
Abate), dei suoi fratelli Eutichio e Vittorino, e della loro sorella
Flavia Vergine, e così pure di Donato, Firmato Diacono, Fausto ed
altri trenta Monaci, i quali tutti, per la fede di Cristo, furono
uccisi dal corsaro Mamuca.
Sarebbe stato martirizzato con i fratelli Flavia, Eutichio e
Vittorino e altri trenta compagni sotto Diocleziano, anche se altre
fonti sostengono che furono uccisi dai pirati Saraceni comandati da
Mamucha.
Nell'XI secolo, infatti, Pietro Diacono confuse la storia del Placido
martire con quella del Placido monaco benedettino, fino ad allora
venerato come Confessore, e riunì le biografie dei due santi in uno
scritto chiamato Passio S. Placidi, in cui si narrava la storia del
discepolo di San Benedetto, vissuto nel VI secolo d.C., ucciso a
Messina dai Saraceni con i tre fratelli e trenta monaci.
Da questo momento, quindi, i due santi vennero identificati con
un'unica persona.
È venerato con i Compagni il 5 ottobre. È patrono di Messina assieme
alla Madonna della Lettera.
È il Santo Patrono anche di Poggio Imperiale in provincia di Foggia,
oltre che di Biancavilla e Castel di Lucio, nonché dell'Arcidiocesi
di Messina-Lipari-Santa Lucia del Mela
Era il 541 d.C. quando i pirati musulmani guidati dal Generale
Mamuca sbarcarono nei pressi delle rive del Faro e si avvicinarono
verso la cinta muraria della Città.
Eccoli quindi giunti nei pressi del monastero di San Placido. I
Monaci non poterono opporre la benchè minima resistenza. I Barbari
circondarono l'edificio, appiccarono il fuoco, come d' uso e misero a
soqquadro tutto il monastero.
San Placido si fece avanti perché fossero risparmiati tutti gli
altri, ma tutti i monaci furono fatti prigionieri e giustiziati. Il
motivo della condanna fu il negato assenso dei Monaci ad adorare i
loro idoli e la ferma volontà di restare fedeli alla religione
cristiana.
San Placido esortò con la parola tutti ad essere fedeli al Cristo e
alla Fede in cui erano consacrati e per questo gli viene strappata la
lingua. Ciò nonostante grazie alla sua Fede continuò strenuamente ad
incoraggiare tutti.Verso Flavia, sorella di Placido, il tiranno
Mamuca, in un primo tempo ebbe parole di lode per la sua bellezza,
nella speranza di renderla rinnegatrice della propria fede, ma
sconfitto passò alle minacce. Ben presto si accorse che quella
giovinetta aveva un coraggio indomabile, ed egli, il Forte si sentì
umiliato dalle risposte e dalla costanza della giovinetta.
Decapitò tutti legandoli tra di loro: S.Placido, Vittorino, Eutichio
e Flavia, Fausto e Firmato.
Donato venne ucciso nel primo assalto al monastero, mentre Gordiano
riuscì a fuggire.
I Fratelli Martiri vennero condotti sulla spiaggia, dove oggi c'è la
Batteria Masotto ( Passeggiata a mare), e qui furono
giustiziati.All'alba i messinesi assistettero alla scena del
monastero distrutto, della campagna vicina devastata, e trovarono
sulla spiaggia i corpi eroici dei Martiri immersi nel loro sangue.
Tornò finalmente Gordiano accompagnato da un folto gruppo di
messinesi valorosi, ma ormai era tardi poterono solo assistere
raccapricciati alla visione di quella scena terrificante.
Si strapparono i capelli per non aver potuto fare nulla per evitare
la tragedia e si sentirono impotenti di fronte a simile orrore. Pieni
di commozione seppellirono nella Chiesa di San Giovanni, i tre
gloriosi fratelli e la sorella, mentre gli altri Monaci vennero
seppelliti nella spiaggia.
Arrivano poi sul luogo i parenti e i conoscenti dei Monaci uccisi,
vennero anche gli amici di Placido, per venerare i santi luoghi e le
gloriose sepolture. Il monastero e la Chiesa di San Giovanni
resteranno a caratteri indelebili nelle pagine della storia di
Messina a ricordo di questo avvenimenti.
Il Martirio di San Placido e dei suoi compagni, come detto, suscitò
ancora più grande devozione nei messinesi, i quali si affrettarono a
riordinare la Chiesa dove presto trovarono onorata sepoltura i
fratelli e riordinarono anche il Monastero. La vita e l'esempio di
San Placido continuò anche dopo la sua morte, ed i semi sparsi dal
suo esempio continuarono a germogliare dando grandi frutti in ogni
dove della Città e soprattutto nell'animo, nelle opere e nella vita
degli abitanti di Messina. Nel 1363 a dodici miglia dal centro della
città, quattro nobili messinesi, Leonardo De Astasiis, Roberto De
Gilio, Mario De Speciariis, e Giovanni di Santa Croce, sopra una
elevata collina (Pezzolo) costruirono un monastero benedettino in
onore di San Placido che dal torrente che vi scorreva vicino prese
il nome Calonerò e al quale fu dato da Papà Urbano V il titolo di
Abbazia e per la quale quale Federico III stabilì che venissero
portate offerte in natura, offerte confermate successivamente da Re
Martino. Il Monastero ebbe florida vita sino al 1600. Per un lungo
periodo non si ebbe più notizia dei sepolcri che custodivano i corpi
di San Placido e dei fratelli, le vicende e la dominazione saracena
ne avevano fatto scomparire ogni traccia. Le vicende erano coperte
dalla coltre dell'oblio e il mistero del tempo velava ogni cosa, la
verità sembrava persa per sempre e i pochi ricordi erano diventati
leggenda. La storia e la verità sembravano per sempre sepolte. Pur
tuttavia rimaneva costante la fede dei messinesi per quei giovani
santi martiri di cui la tradizione aveva tramandato le eroiche
gesta e forte era la convinzione che i resti mortali si ritrovassero
sepolti nella Chiesa di San Giovanni dei Cavalieri Gerosolomitani,
dove sorgeva il convento, vicino alle mura nella zona dell'Oliveto.
La svolta fu nel 1586, quando fu eletto a Gran Priore dei
Gerosolomitani Fra Rinaldo de Naro, Siracusano. Egli un giorno notò
che la Chiesa, addossata alle mura del Palazzo Priorale e
all'Ospedale era scarsamente illuminata. Quella Chiesa, come tutte
quelle antiche, aveva le Absidi rivolte ad Oriente, perché anche
l'arte asservisse ad alta finalità ascetica, quella cioè di far
guardare il celebrante verso Oriente, cioè verso Gesù Cristo Oriente dall'Alto .Il Gran Priore, quindi volle aprire tre belle e grandi
porte dalla parte del mare, sistemando l'altare maggiore dalla parte
opposta, verso Ponente. Mentre si eseguivano i lavori, di demolizione
dell'altare maggiore, scavando in profondità sotto il lato destro di
esso a 14 palmi, cioè circa 3.50 mt. di profondità alcuni sterratori
trovarono un sepolcro di marmo lungo 12 palmi (mt. 3) e largo 5
(mt.1.50). Lo aprirono e vi rinvennero quattro corpi umani spiranti
soavissimo odore: 3 erano collocati uno accanto all'altro e un
quarto era sito in senso trasversale ai piedi di costoro. Accanto poi
si videro parecchi altri corpi che tenevano accanto al capo e al
petto ampolle di vetro di creta piene di sangue e di terra intrisa di
sangue. Il corpo collocato in senso trasversale era evidentemente di
una fanciulla e sul petto del corpo di mezzo fu trovato un vasetto
con dentro una lingua. Questo fatto in particolare, si sapeva che a
San Placido era stata strappata la lingua, fece riemergere al ricordo
i fatti storici di quella che era diventata solo trasmissione orale Quei corpi
erano sicuramente quelli dei Martiri Messinesi Placido, dei Fratelli
e della Sorella Flavia. Diffusasi la notizia per la città, fu un
accorrere di fedeli senza numero, felici di avere finalmente
ritrovate le S.S. Reliquie che nei tempi passati invano erano state
cercate. Entò allora in azione l'"Opus Dei", l'opera di Dio, che
volle glorificare i suoi martiri. Ed ecco che quel ritrovamento
provocò il moltiplicarsi di prodigi e guarigioni miracolose al
contatto coi sacri copri e bevendo dell'acqua scaturita nel luogo dove si erano trovati quei sacri corpi.
L'Arcivescovo del tempo, Mons. Antonio Lombardo osservò e relazionò
di quei fatti con quella diligenza e preoccupazione che il caso
richiedeva, raccolse documenti e testimonianze e con prudenza
infine si recò a Roma per esporre dell'avvenimento al Papa Sisto V. La Commissione Arcivescovile, incaricata di indagare i fatti era presieduta
dall'Abate e Canonico D. Giulio Cesare Minutolo, Vicario Generale e
ne faceva parte anche D. Silvestro Maurolico. Il Papa fece studiare
la relazione da una commissione di Cardinali che espressero il
parere che certamente il ritrovamento effettuato era delle preziose
reliquie di San Placido dei fratelli Euticchio e Vittorino, nonchè
della sorella Flavia oltre che di altri 30 monaci martirizzati da
Mammucca nell'anno 541 d.C. Il Papa concesse che ogni anno si
celebrasse oltre la festa del martirio quella del ritrovamento delle
Ss.Reliquie il 4 Agosto. Furono memorabili i festeggiamenti che in
tale ricorrenze preparavano i messinesi: archi di trionfo, funzioni,
processioni, luminarie. Di tutto ciò se ne fece ampia relazione anche
a Filippo II di Spagna. nel contempo a Messina fu eretto il nuovo
Tempio di S. Giovanni di Malta in onore dei Santi Martiri. In
particolare fu molto curato il Sacello, collocato sull'altare
dell'abside corale, dove in artistiche casse rivestite di broccati
d'oro, di velluti e damaschi rari furono riposte le sacre Reliquie.
Sul pavimento del Sacello furono incisi i nomi dei Senatori del
tempo: Antonio Giacomo di S. Basilio - D. Palmerio Di Giovanni - D.
Francesco Marullo - Giovanni Pietro Arena - D. Giacomo Campolo -
Giovanni Tuccari. Mentre procedevano i lavori di ricostruzione della
Chiesa, il 6 giugno 1608 poco distanti dal sepolcro di San Placido si
rinvennero altri corpi con i soliti vasi di vetro e di terracotta
ripieni di sangue.
Si pensò subito a Reliquie di altri Martiri uccisi in successive
incursioni ed infatti i nuovi prodigi e miracoli operati da Dio al
contatto dei Sacri Corpi confermarono tale convinzione. Anche questa
volta Papa Paolo V informato del ritrovamento dall'Arcivesco Mons.
Bonaventura Secusio confermò che si trattava del rinvenimento del
corpo di altri santi Martiri i quali meritavano il culto insieme con
quelli precedentemente scoperti.
I lavori di ricomposizione definitiva delle sacre Ossa nel Sacello si
completarono nel 1624. Le varie alterne vicende del tempo lasciarono
sempre le Sacre Reliquie nel loro intatto Sacello assistite sempre
dalla sincera devozione dei messinesi, così fino al 1908.
Il terremoto pur distruggendo buona parte della Chiesa di S. Giovanni
di Malta, incredibilmente lasciò al suo posto il Sacello, custodito
nella superstite abside ed opportunamente chiusa e sistemata da Sua
Eccellenza Mons. Angelo Paino, Arcivescovo ed Archimandrita di
Messina nel 1925.