Saints
EUSEBE, prêtre, MARCEL, diacre, et HIPPOLYTE, MAXIME, ADRIAS, PAULINE,
NEON, MARIE, MARTANE et AURELIE, martyrs à Rome sous Valérien (vers
256).
Saint PONTIEN, martyr à Rome avec QUATRE autres sous Valérien (vers 259).
Santa Bibiana o Viviana martire a Roma sotto
Giuliano l’Apostata (verso il 363)
Secondo la
«Passio Bibianae», questa santa sarebbe una delle vittime della persecuzione
anticristiana dell'imperatore Giuliano l'Apostata (361 - 363),. Secondo questa
Passio, il governatore Apronio avrebbe mandato a morte i coniugi Fausto e
Dafrosa, per impadronirsi dei loro beni. Poi volle costringere all'apostasia le
loro figlie: Demetria e Bibiana. La prima sarebbe morta sotto tortura, mentre
Bibiana, salda nella propria fede, dopo aver subito ogni tipo di angheria(Dapprima
fu minacciata, poi blandita. Venne affidata ad una mezzana, affinché la
incamminasse sulla via della perdizione Ma Santa Viviana non si fece scalfire nè dalla paura, nè dalle
tentazioni della carne) fu legata alla colonna e flagellata a morte. L'ultimo
scempio che fu fatto al suo giovane corpo fu quello di negargli la sepoltura.
Le spoglie della giovinetta furono gettate in una fossa per essere sbranate dai
cani; ma i cani, più pietosi degli uomini, non la toccarono, anzi, indicarono i
miseri resti ad una pia donna, che quindi tumulò dignitosamente ciò che restava
della fanciulla.
La chiesa sull'Esquilino sorgerebbe sulla tomba
della martire L'edificio originario, risalente al V secolo,(dedicata alla
santa martire da Papa Simplicio ) fu
ristrutturato completamente da Gian Lorenzo Bernini per volontà di papa Urbano
VIII nel XVII secolo. All'interno si può ammirare una statua , eseguita dal
Bernini stesso, che raffigura Santa
Viviana così come l'iconografia devozionale ce l'ha consegnata. Si vede
una fanciulla, appoggiata ad una colonna, che ha in mano la palma del martirio
e sembra già più rivolta al cielo che alla terra, eterea e splendida nella sua
giovinezza immacolata.
Questa
icona di San Cromazio d'Aquileia è il dono del Patriarca Bartolomeo per
la Basilica di Aquileia, in ricordo dell'aiuto dato da Cromazio al
predecessore del Patriarca sulla sede di Costantinopoli, San Giovanni
Crisostomo
Santo Cromazio Vescovo di Aquileia (verso il
407 o 408)
(tratto da http://www.santiebeati.it/dettaglio/90492)
Cromazio nasce in una famiglia benestante. Sappiamo infatti
che in casa sua (dove ci sono il fratello Eusebio e tre sorelle) s’incontrano
sacerdoti e laici animati da lui: una sorta di gruppo ascetico-culturale che
verso il 370 accoglie anche un funzionario imperiale dimissionario: un dàlmata
Girolamo. Questi arriva da Treviri, in Germania (sede stagionale degli
imperatori), dove ha rinunciato alla sua carica. E in casa di Cromazio, tra
letture, preghiere e discussioni, si prepara al cammino che lo condurrà in
Oriente, e all’opera gigantesca di tradurre le Scritture in latino.
Il vescovo Valeriano di Aquileia ha ordinato sacerdote
Cromazio, e si serve di lui per la difesa della retta professione di fede contro
l’arianesimo, che in Alta Italia ha ancora sostenitori, anche tra i vescovi. Proprio
per giungere a un chiarimento generale in materia di dottrina, nel 381 si
riunisce ad Aquileia un Concilio regionale; e Cromazio è uno dei più autorevoli
ispiratori delle sue conclusioni.
Morto poi Valeriano, è lui a succedergli come vescovo di Aquileia,
e riceve la consacrazione episcopale da sant’Ambrogio di Milano. Dall’Oriente,
Girolamo lo definirà il vescovo «più santo e più dotto» del suo tempo. E
sicuramente egli è pure uno dei più generosi verso il traduttore della Bibbia:
gli manda lettere di incoraggiamento e anche aiuti in denaro; e Girolamo
ricambia dedicandogli alcune delle sue versioni bibliche.
Ma nell’Impero, governato da due imperatori “colleghi” e
spesso rivali a morte, per due volte in pochi anni la guerra arriva addosso al
Friuli. Due battaglie e due vittorie di Teodosio (luglio 387 e settembre 394),
con l’immediata uccisione dei rivali sconfitti e le solite devastazioni e
rapine della truppa. Così Teodosio rimane imperatore unico, ma alla sua morte
riecco un imperatore in Italia (Ravenna) e uno a Costantinopoli: Onorio e
Arcadio, figli di Teodosio.
Nel 404, un avvenimento lontano sottolinea il prestigio di
Aquileia e del suo vescovo. Il patriarca di Costantinopoli, Giovanni
Crisostomo, è stato condannato un’altra volta all’esilio, e chiede aiuto a tre
persone: papa Innocenzo I, Ambrogio di Milano e Cromazio di Aquileia. Il quale
interviene presso Onorio, ma invano. Il patriarca morirà in esilio.
Le delusioni non fermano la sua operosità di promotore di
cultura cristiana. Tra un’invasione e l’altra (anche i Visigoti, ora) aiuta e
incoraggia studiosi; e uno se lo prende in casa, Rufino di Aquileia, per fargli
continuare la Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea. E quando Rufino e
Girolamo polemizzano tra loro, fa di tutto per riconciliarli e riportarli allo
scrittoio. Anche lui, Cromazio, studia e scrive: conosciamo una raccolta di
suoi sermoni e un commento parziale al Vangelo di Matteo. Morì in esilio a
Grado a motivo delle scorribande dei
barbari sulle terre della diocesi di Aquileia
Tratto da
Cromazio
fu sapiente maestro e zelante Pastore. Il suo primo e principale impegno fu
quello di porsi in ascolto della Parola, per essere capace di farsene poi
annunciatore: nel suo insegnamento egli parte sempre dalla Parola di Dio e ad
essa sempre ritorna. Alcune tematiche gli sono particolarmente care: anzitutto
il mistero trinitario, che egli contempla nella sua rivelazione lungo tutta la
storia della salvezza. Poi il tema dello Spirito Santo: Cromazio
richiama costantemente i fedeli alla presenza e all’azione della terza Persona
della Santissima Trinità nella vita della Chiesa. Ma con particolare insistenza
il santo Vescovo ritorna sul mistero di Cristo. Il Verbo incarnato è vero Dio e
vero uomo: ha assunto integralmente l’umanità, per farle dono della propria divinità.
Queste verità, ribadite con insistenza anche in funzione antiariana,
approderanno una cinquantina di anni più tardi alla definizione del Concilio di
Calcedonia. La forte sottolineatura della natura umana di Cristo conduce
Cromazio a parlare della Vergine Maria. La sua dottrina mariologica è tersa e
precisa. A lui dobbiamo alcune suggestive descrizioni della Vergine Santissima:
Maria è la «vergine evangelica capace di accogliere Dio»; è la
«pecorella immacolata e inviolata», che ha generato l’«agnello ammantato di
porpora» (cfr Sermone XXIII,3). Il Vescovo di Aquileia mette spesso la
Vergine in relazione con la Chiesa: entrambe, infatti, sono «vergini» e
«madri». L’ecclesiologia di Cromazio è sviluppata soprattutto nel
commento a Matteo. Ecco alcuni concetti ricorrenti: la Chiesa è unica, è nata
dal sangue di Cristo; è veste preziosa intessuta dallo Spirito Santo; la Chiesa
è là dove si annuncia che Cristo è nato dalla Vergine, dove fiorisce la
fraternità e la concordia. Un’immagine a cui Cromazio è particolarmente
affezionato è quella della nave sul mare in tempesta – e i suoi erano tempi di
tempesta, come abbiamo sentito –: «Non c’è dubbio», afferma il santo Vescovo,
«che questa nave rappresenta la Chiesa» (cfr Trattato XLII,5).
Da
zelante Pastore qual è, Cromazio sa parlare alla sua gente con linguaggio
fresco, colorito e incisivo. Pur non ignorando il perfetto cursus
latino, preferisce ricorrere al linguaggio popolare, ricco di immagini
facilmente comprensibili. Così, ad esempio, prendendo spunto dal mare, egli
mette a confronto, da una parte, la pesca naturale di pesci che, tirati a riva,
muoiono e, dall’altra, la predicazione evangelica, grazie alla quale gli uomini
vengono tratti in salvo dalle acque limacciose della morte, e introdotti alla
vita vera (cfr Trattato XVI,3). Sempre nell’ottica del buon Pastore, in
un periodo burrascoso come il suo, funestato dalle scorrerie dei barbari, egli
sa mettersi a fianco dei fedeli per confortarli e per aprirne l’animo alla
fiducia in Dio, che non abbandona mai i suoi figli.
Raccogliamo
infine, a conclusione di queste riflessioni, un’esortazione di Cromazio, ancor
oggi perfettamente valida: «Preghiamo il Signore con tutto il cuore e con tutta
la fede – raccomanda il Vescovo di Aquileia in un suo sermone –, preghiamolo di
liberarci da ogni incursione dei nemici, da ogni timore degli avversari. Non
guardi i nostri meriti, ma la sua misericordia, Lui che anche in passato si
degnò di liberare i figli di Israele non per i loro meriti, ma per la sua
misericordia. Ci protegga con il solito amore misericordioso e operi per noi
ciò che il santo Mosè disse ai figli di Israele: “Il Signore combatterà in
vostra difesa, e voi starete in silenzio” (cfr Es 14,14). È Lui che
combatte, è Lui che riporta la vittoria … E affinché si degni di farlo,
dobbiamo pregare il più possibile. Egli stesso infatti dice per bocca del
profeta: “Invocami nel giorno della tribolazione; io ti libererò, e tu mi darai
gloria” (cfr Sal 50,15)» (Sermone XVI,4).
Santo Pietro Crisologo vescovo di Ravenna
(dies natalis in un periodo tra il 449 e
il 458)
PIETRO
Crisologo, santo. – Primo metropolita dell’Emilia, attestato nei decenni
centrali del V secolo; venne così denominato a partire dal IX secolo per la
raffinata eloquenza (da chrisòs «oro» e lògos «parola»).
Il Liber
Pontificalis Ecclesiae Ravennatis di Andrea Agnello (IX secolo), la più
antica fonte a nostra disposizione per la biografia di Pietro Crisologo,
contiene non poche inesattezze. Buona parte delle notizie che lo riguardano
sono riportate da Agnello nella vita di Pietro II (Liber Pontificalis,
a cura di O. Holder-Egger, 1878, pp. 289-291; a cura di D. Mauskopf Deliyannis,
2006, pp. 208-218) con il quale viene identificato, mentre in realtà si
tratterebbe di Pietro (I) antistes (Liber Pontificalis, ed.
Holder-Egger, pp. 310-315; ed. Mauskopf Deliyannis, pp. 170-175) vissuto
all’epoca di Galla Placidia (388/392-450) e dell’imperatore Valentiniano III
(425-455). A Pietro I viene inoltre erroneamente attribuita la costruzione del
battistero della basilica petriana a Classe e di un edificio detto Tricoli, che
invece furono fatti realizzare da Pietro II, mentre i dati relativi alla sua
morte e sepoltura sono da riferire a Pietro (III) senior (Liber
Pontificalis, ed. Holder-Egger, pp. 337-341; ed. Mauskopf Deliyannis, pp.
258-265).
La
notizia riportata da Agnello sulle origini imolesi di Pietro Crisologo e sulla
sua formazione sotto la guida del vescovo Cornelio («Natione ex Corneliense
territorio, nutritus et doctus a Cornelio illius sedis antistes»: Liber
Pontificalis 47, ed. Holder-Egger, p. 310; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 208)
potrebbe trovare fondamento nel sermone pronunciato dallo stesso vescovo
ravennate in occasione della consacrazione di Proietto (m. 483) come nuovo
presule del Forum Cornelii. Nell’incipit egli esprime una
particolare devozione nei confronti della Chiesa imolese («sed Corneliensi
ecclesiae inservire peculiarius ipsius nominis amore compellor») e riconosce
Cornelio come padre spirituale («pater mihi fuit»; Sermo 165, in Sermoni
III, p. 252, rr. 4-14).
Più
controverso appare il passo del Liber Pontificalis sull’elezione
episcopale. Il diacono Pietro, insieme allo stesso Cornelio, partecipò alla
delegazione diretta a Roma per la consacrazione del nuovo vescovo eletto a
Ravenna dopo la morte di Orso (m. 424-429?). L’episodio riprende il topos agiografico
dell’agnizione conseguente alla visione notturna, qui attribuita a papa Sisto
III (432-440) a cui Pietro sarebbe apparso in sogno affiancato dai santi Pietro
e Apollinare. Il principe degli Apostoli lo avrebbe indicato come l’unico in
grado di illuminare la Chiesa ravennate con la propria dottrina («ut pinguedo
olei lucerne illuminans, cum ab igne fuerit applicata»). Il pontefice si
rifiutò allora di consacrare colui che era stato eletto nella capitale
dell’impero d’Occidente, o qualsiasi altro candidato, fino a quando non scorse
Pietro fra i membri della delegazione: la scelta di costui, inizialmente
contestata da una parte dei presenti («non ex nostro fuit ovile»), si concluse
con la proclamazione da parte del papa (Liber Pontificalis 49, ed.
Holder-Egger, pp. 311 s.; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 213). La fonte è messa
tuttavia in discussione dalla cronologia del sermonario di Pietro Crisologo,
che anticipa l’inizio della sua attività fra il 425, dopo che divenne
imperatore Valentiniano III, e poco prima del 431, quando Ravenna fu elevata al
rango metropolitano.
Nel
corso del suo episcopato il vescovo pronunciò numerose omelie che furono
raccolte per la prima volta dal suo successore Felice (708-724), senza un
preciso ordine cronologico o una qualche suddivisione per argomento. I
centosessantotto sermoni, ai quali se ne assommano quindici extravagantes,
rappresentano una fonte importante sull’affermazione della Chiesa ravennate nel
quadro della gerarchia delle sedi vescovili nonché sulla liturgia ravennate e
sull’ordinamento delle letture evangeliche. Il ricordo della morte e della
sepoltura di s. Apollinare nel sermone 128 costituisce una delle prime
attestazioni del culto tributato al martire (Sermo 128, in Sermoni III,
3, p. 34, rr. 37-41). I sermoni, oltre a documentare la posizione del vescovo
intorno alle dispute dottrinali dell’epoca, in particolare alla controversia
cristologica sulla divina maternità di Maria (Sermo 145, in Sermoni III,
6, p. 134, rr. 74-88), attestano la sua dura opposizione nei riguardi del
giudaismo (Sermo 164, in Sermoni III, 8, p. 250, rr. 75-103),
dell’eresia (Sermo 109, in Sermoni II, 4, pp. 329 s., rr. 74-88)
e della persistenza delle ritualità pagane (Sermo 155, in Sermoni III,
pp. 188-190; 155 bis, ibid., pp. 192-194).
Insieme
a Galla Placidia, alla quale si rivolge con l’epiteto di mater christiani
perennis et fidelis imperii in un’omelia di ordinazione episcopale
pronunciata alla presenza della famiglia imperiale (Sermo 130, in
Sermoni III, 3, p. 43, rr. 35-45), edificò la basilica petriana a Classe e
quella di S. Giovanni Evangelista a Ravenna (420-430), nella cui abside, sopra
la cattedra episcopale, l’augusta volle effigiata l’immagine del vescovo
affiancato da un angelo e raffigurato con una lunga barba e le mani protese
nell’atto di celebrare la messa (Liber Pontificalis 27, ed.
Holder-Egger, p. 291; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 174).
La
notizia in Agnello della consacrazione della basilica dei Ss. Giovanni e
Barbaziano da parte di Pietro (Liber Pontificalis 51, ed. Holder-Egger,
p. 313; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 215), invece, non può ritenersi
attendibile.
Nel
448 Pietro accolse nella propria sede il vescovo Germano di Auxerre (378-448),
giunto a Ravenna per intercedere a favore degli Armoricani presso Valentiniano
III. In seguito alla morte improvvisa del presule gallico dopo una malattia
durata sette giorni, il vescovo ravennate ne serbò la cocolla e il cilicio
mentre all’imperatrice Galla Placidia, che si era presa personalmente cura del
morente, fu riservata la capsella contenente alcune sante reliquie (Constance
de Lyon, 1965, VI, 28, p. 174; VII, 35, p. 188; VII, 42, p. 198; VIII, 43, p.
200).
Nel
449, in quanto vescovo della sede imperiale d’Occidente, Pietro fu interpellato
dal presbitero e archimandrita costantinopolitano Eutiche che era stato
condannato per la posizione monofisita nel corso della sinodo di Costantinopoli
(448) presieduta dal patriarca Flaviano (m. 449). Il nostro ribadì la sua
posizione dottrinale sulla questione cristologica e si mantenne al di fuori
della controversia in assenza di un riscontro scritto da parte di Flaviano,
quindi esortò Eutiche a sottomettersi alle decisioni del papa Leone I (440-461)
(ACO II, 3,1, pp. 6 s.; Sermoni III, pp. 340-342).
La
lettera risale probabilmente allo stesso periodo in cui Eutiche rivolse, prima
del 18 febbraio 449, un appello al pontefice al quale egli rispose con un tono
prudente (ACO II, 4, pp. 3-5). Se nel testo di Pietro si vuole cogliere
un riferimento al Tomus ad Flavianum di Leone Magno (ACO II, 2,
1, pp. 24-33), la sua risposta potrebbe essere stata redatta dopo il 13 giugno
449.
È
probabile che sia morto fra il 451 e il 458, anno in cui già esercitava la
propria attività pastorale il suo successore, il vescovo Neone.
Le
circostanze della scomparsa sono descritte da Agnello che, anche in questo
caso, si avvale di stilemi agiografici. Il vescovo ravennate fece il proprio
ingresso nella basilica di S. Cassiano a Imola, offrì doni preziosi al martire
(«cratere aureo uno e patera argentea altera et diademata aurea magna
preciosissimis gemmis ornata») che furono santificati attraverso il contatto
con le spoglie di quest’ultimo («omnia a sancti Cassiani corpore imbuit»), poi
li depose sull’altare. Pietro benedisse la folla e pronunciò una lunga
preghiera di commiato. Infine, dopo aver ricordato la propria formazione in
seno alla chiesa imolese, affidò l’anima a Dio e il proprio corpo al santo
spirando fra le lacrime dei presenti il giorno 3 dicembre. Fu seppellito per
sua volontà dietro la chiesa in luogo da lui indicato (Liber Pontificalis
52, ed. Holder-Egger, pp. 314 s.; ed. Mauskopf Deliyannis, p. 218).
La
scelta della sepoltura nei pressi della tomba di Cassiano, secondo la prassi
della inumazione ad santos, sarebbe avvenuta, dunque, al di fuori della
sede episcopale ma pur sempre in una località sottoposta alla giurisdizione
territoriale del vescovo ravennate.
La
notizia è stata oggetto di dibattito da parte degli studiosi, tuttavia una tale
decisione, che potrebbe essere dipesa dalla volontà di farsi inumare accanto al
patrono della chiesa che lo aveva cresciuto, non può essere spiegata solo con
l’assenza a Ravenna di importanti edifici di culto martiriale, per quanto nel V
secolo sia attestata l’esistenza di un piccolo oratorio (ritrovato sotto il
pavimento della basilica di S. Vitale), considerato come il primo santuario del
martire Vitale, e lo stesso Crisologo nel sermone 128 facesse menzione generica
della sepoltura in area ravennate del martire Apollinare. La basilica dedicata
al patrono ravennate sorse a Classe solo nel VI secolo.
Fonti
e Bibl.: Sancti Petri Chrysologi Collectio sermonum a Felice episcopo
parata, sermonibus extravagantibus adiectis, a cura di A. Olivar, in Corpus
Christianorum, Series Latina, 24-24A, Turnhout 1975-1981; Opere di San
Pier Crisologo. Sermoni [1-62 bis], a cura di G. Banterle et al.,
I, Milano-Roma 1996; Sermoni [63-124], II, Milano-Roma 1997; Sermoni [125-179]
e Lettera a Eutiche, III, Milano-Roma 1997; Liber Pontificalis Ecclesiae
Ravennatis, a cura di O. Holder-Egger, in MGH, Scriptores rerum
langobardicarum et italicarum saec. VI-IX, Hannover 1878; Agnellus
Ravennas Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, a cura di D. Mauskopf
Deliyannis, in Corpus Christianorum, Continuatio Mediaevalis, 199,
Turnhout 2006; Constance de Lyon, Vie de Saint Germain d’Auxerre, a cura
di René Borius, Paris 1965; Acta conciliorum oecomenicorum (= ACO),
a cura di. E. Schwartz, II, Berolini-Lipsiae 1932; G. Lucchesi, Note intorno
a san Pier Crisologo, in Studi Romagnoli, III (1952), pp. 97-104; Patrologia,
III, Dal Concilio di Nicea (325) al Concilio di Calcedonia (451).
I padri latini, a cura di A. Di Berardino, Torino 1978 (rist. 1992), pp.
544 s.; G. Cortesi, Cinque note su san Pier Crisologo, in Felix
Ravenna, CXXVII-CXXX (1984-1985), pp. 117-132; J.-C. Picard, Les
souvenir des évêques. Sépultures, listes épiscopales et culte des évêques en
Italie du Nord des origines au Xe siècle, Roma 1988, pp.
148 s., 177 s., 484; R. Benericetti, Il Cristo nei sermoni di S. Pier
Crisologo, Cesena 1995, pp. 57-66; Prosopographie de l’Italie chrétienne
(313-604), sous la direction de C. Pietri - L. Pietri, II (L-Z),
Roma 2000, pp. 1728-1730; D. Mauskopf Deliyannis, Ravenna in late antiquity,
Cambridge 2010, pp. 68 s., 84-86, 196 s.; F. Trisoglio, Introduzione a
Pietro Crisologo, Brescia 2012.