martedì 4 luglio 2017

Sikelia primo millennio Santi del 5 Luglio





Santo Agatone e Santa Trifina martiri in Sicilia



Tratto da

http://www.santiebeati.it/dettaglio/60900

Il Martirologio geronimiano commemora il 5 luglio i martiri Agatone e Trifina in Sicilia, senza aggiungere altro. La notizia passò di lì nei martirologi storici, in vari manoscritti siciliani e nel Martirologio romano. Di questi martiri tutto è ignoto eccetto le scarse notizie forniteci dai martirologi. Il Lanzoni ha supposto che sotto il nome di Agatone sia da riconoscere "la celebre martire di Catania Agathenis..., trasformata in Agathonis da un imperito copista", ipotesi accolta anche dal Delehaye nel commentario al Martirologio geronimiano. Si è pure pensato che il martire Agatone potrebbe identificarsi con Agatone I, vescovo di Lipari, di cui si parla negli Atti dei ss. Alfio, Filadelfio e Cirino, il quale, fuggendo per salvarsi dalla persecuzione, si recò a Lentini, dove visse nascosto in una grotta presso la città assieme ad Alessandro, vecchio persecutore convertito; questa supposizione sembra tuttavia improbabile, poiché gli autori dei martirologi non hanno conosciuto gli atti dei tre martiri venuti in Occidente dalla Sicilia, attraverso l'Oriente. Sicché le conclusioni che oggi si possono presentare alla critica non sono lontane da quanto diceva il Caetani nel Seicento, cioè che, nonostante tutti gli sforzi per identificare questo martire.nulla è sicuro

Nello specifico Agatone di Lipari accolse nel 264 a Lipari il corpo  dell'apostolo Bartolomeo  e lo glorificò patrono delle Eolie





Tratto da

http://www.ilgiornale.it/news/agatone-e-trifina.html

Poiché in greco significa «buono», potete immaginare quanto fosse diffuso il primo nome in antico. E quanto, dunque, sia presente negli annali della santità. In tutte le sue variazioni: Agata, Agatone, Agatonico, Agatonice, Agatoclia, Agatopo, Agatodoro. Agatemero, Agatangelo... Tantè che, per distinguerlo, il santo di oggi deve essere associato con s. Trifina. Infatti, nei martirologi sono menzionati sempre insieme. Perché? Non si sa. Lunica informazione in nostro possesso è che i due sono venerati in Sicilia come martiri. Ma furono martiri in Sicilia o della Sicilia? Anche questo non lo sappiamo. Forse - ma molto forse - si può identificare, come fa qualche storico, s. Agatone con s. Agatone I, vescovo di Lipari, menzionato nelle biografie dei fratelli martiri ss. Alfio, Filadelfo e Cirino. In questo caso saremmo al tempo della persecuzione scatenata dallimperatore Decio e continuata col successore Valeriano. Il funzionario Diomede diede la caccia ad Agatone, che scappò a Lentini. Qui, però, comandava Tertullo, che non andava per le spicce con i cristiani. Agatone si rifugiò in una grotta. Ma il segretario di Tertullo, Alessandro, era amico dei cristiani e si fece indicare dove stava Agatone. Lo raggiunse e per due anni si fece istruire da lui. Agatone lo battezzò col nome di Neofito e lo ordinò sacerdote. Morto Tertullo, il suo ex segretario divenne vescovo di Lentini. Quanto ad Agatone, non sappiamo se sia rimasto a Lentini o abbia fatto ritorno a Lipari. Su s. Trifina, poi, il buio è davvero totale. Altrettante tenebre gravano, infine, sul rispettivo martirio.





Santa Trofimena  martire siciliana  ai tempi della persecuzione di Diocleziano

Con il nome di Martire Febronia è venerata a Patti il 5 luglio



TRATTO  da

http://www.santiebeati.it/dettaglio/91592

Santa Trofimena, santa d'origine siciliana, di Patti (ME) omologa di Santa Febronia, che si venera a Minori (SA) in Costiera Amalfitana. L'agiografia è piuttosto contorta, la leggenda vuole che fu martirizzata ancora fanciulla, intorno ai 12 /13 anni per mano dello stesso padre, poiché desiderosa di battezzarsi e di abbracciare la fede cristiana, si racconta di una visione di un angelo che le annuncia la consacrazione a Cristo e l'imminente martirio, e contraria alle nozze con il prescelto indicato dalla famiglia. Il corpo fu affidato alla custodia di un urna e gettato in mare, le correnti la spinsero sino alle coste salernitane e precisamente a Minori. L'urna ritrovata dalla popolazione minorese fu fatta trasportare da una pariglia di giovenche, ma arrivati al punto dove oggigiorno sorge la chiesa a lei dedicata, gli animali non vollero assolutamente proseguire, pertanto i minoresi interpretarono ciò come il segnale divino della scelta del luogo ove erigere la suddetta chiesa.



La fonte principale della leggenda agiografica di S. Trofimena è rappresentata  dal testo dal titolo Historia Inventionis ac Traslazioni et Miracula Sanctae Trofimenis, redatto in scrittura beneventana e conservato in un codice databile ai primi decenni del X secolo. L’autore, purtroppo anonimo, stando agli studi di Massimo Oldoni, potrebbe essere un presbitero di origine minorese o, più verosimilmente, longobarda . Fino al 1658 il codice fu conservato nell’Archivio Vescovile di Minori, successivamente l’erudito scalese Giovanni Battista d’Afflitto lo inviò all’Ughelli che ne trascrisse il testo, pubblicandolo nella sua Italia Sacra , contribuendo in modo determinante alla perdita definitiva .

Scritto in forma di sermone rivolto al fedele, il testo dell’Historia è diviso in tre capitoli: nel primo sono narrate le vicende legate all’invenzione del corpo di S. Trofimena sulla spiaggia di Minori, evento che la tradizione popolare riconduce al 5 novembre del 640. Come l’urna sia giunta a Minori è difficile stabilirlo, l’anonimo agiografo pone l’accento sull’intervento di un angelo, che guidò l’urna dalle coste siciliane fino a Minori. Qui l’urna restò incustodita per un periodo imprecisato, fino a quando l’attenzione della popolazione locale fu catturata da una lavandaia del luogo recatasi presso la foce del fiume Reginna con l’intento di lavare i suoi panni. Nel battere gli stessi su una lastra di marmo restò con le braccia paralizzate, punita per aver disturbato il riposo terreno della Martire. Immediatamente accorsero i sacerdoti della città, i quali dopo aver identificato in quell’urna marmorea il sarcofago di una martire cristiana, decisero di traslarla in un luogo più sicuro. Nel tentativo di scoprire la sua identità notarono questi versi scolpiti sul marmo: “Tu che cerchi di conoscere i motivi dell’arrivo di quest’urna sappi che qui riposano le membra pie e intatte del corpo di Trofimena Martire e Vergine, Ella, fin quando durarono i costumi di un tempo scellerato, evitò i falsi idoli del mondo sfuggendo, come devota fanciulla, ai genitori siciliani. Riposò in mezzo al mare, offrì le membra ai Minoresi e l’anima a Dio. Di qui è andata a godere tra i profumati spazi di Cristo”.

Questi versi rappresentano le uniche notizie storiche sull’origine di S. Trofimena. Molte informazioni sono lasciate in ombra, come per esempio l’anno di nascita, l’anno del dies natalis e la città d’origine. Queste lacune storiche furono colmate in età moderna dalle ricerche dell’umanista Quinto Mario Corrado, basate sull’analisi dei dati desunti da una ricerca demoscopica.

La narrazione prosegue con l’intervento del vescovo amalfitano Pietro e con la prima traslazione delle reliquie.  Di fronte all’impossibilità di spostare la piccola urna marmorea il presule amalfitano decise di farla trainare da due giovenche bianche, che non fossero state ancora sottoposte al giogo. Attraverso questo espediente le spoglie furono traslate, con una solenne processione, dalla spiaggia al luogo dove attualmente sorge la Basilica di S. Trofimena. Furono tumulate sotto una struttura ad incasso, disposta su tre livelli, sub tribus cameris mire constructis, reperiunt sanctam Christi Martyrirem illibatam in suo locello, al di sopra della quale fu eretto il primo altare e una prima chiesa.

Qui il corpo rimase fino all’838, fino a quando l’esercito longobardo minacciò direttamente la sicurezza delle città del Ducato Amalfitano.

Il secondo capitolo si apre quindi con la narrazione delle vicende che hanno come protagonista il principe beneventano Sicardo e il vescovo amalfitano Pietro II. Nell’autunno dell’838, i territori del Ducato di Amalfi subirono il saccheggio da parte delle truppe longobarde, guidate da Sicardo, figlio di Sicone ed erede di una politica religiosa che ebbe, tra i suoi obbiettivi, l’acquisizione di un numero consistente di reliquie di martiri cristiani. Il vescovo amalfitano Pietro II decise quindi di far traslare le reliquie di S. Trofimena da Minori ad Amalfi, considerato un luogo più sicuro.

Le imbarcazioni guidate dal vescovo condussero quindi il corpo di S: Trofimena ad Amalfi, dove fu collocato nella chiesa dedicata alla Vergine, l’attuale chiesa del Crocefisso. Otto giorni dopo questo avvenimento al vescovo apparve in sogno S. Trofimena, avvolta in un mantello rosso, seguita da altre vergini, la quale con voce minacciosa gli predisse un’imminente morte, accusandolo di aver profanato e  condotto il suo corpo lontano da Minori. Per le sue colpe la Martire gli predisse una morte improvvisa seguita dalla straziante visione del suo cadavere strappato dal suo sepolcro e divorato dai cani; cosa che avvenne poco tempo dopo in occasione del saccheggio della città di Amalfi da parte dei longobardi di Sicardo.

Le reliquie di S. Trofimena furono trafugate e portate a Benevento. In breve tempo il culto si diffuse anche nelle province longobarde, come dimostra la scelta del vescovo Orso, il quale di fronte alla richiesta di restituzione del corpo, inoltrata dai Minoresi nel giugno dell’839, dopo la morte del principe Sicardo, decise di restituire soltanto una metà del corpo, l’altra metà restò dunque a Benevento. Tale scelta fu dettata, con ogni probabilità, dalla volontà di non privare la sua chiesa di un tesoro divenuto ormai prezioso.

Il corpo di S: Trofimena fece quindi ritorno a Minori il 13 luglio dell’839, dopo aver sostato la notte precedente nella città di Salerno, sede di un’importante e numerosa colonia di mercanti amalfitani. Ad attenderlo l’intera popolazione locale, in “una giornata di sole sfolgorante”, che accompagnò in processione il sacro corpo, riponendolo nel luogo scelto dalla Santa per il suo riposo terreno.

La terza ed ultima parte narra, infine, dei miracoli operati per intercessione della Martire, come nel caso del sacerdote napoletano Mauro colpito da apoplessia e guarito dopo aver toccato il corpo della Martire di ritorno da Benevento. La vicenda che ben descrive la desolazione e la stato di completo abbandono in cui versava la città di Minori dopo il trafugamento delle reliquie è quella che narra le vicende del sacerdote Costantino, custode e guardiano della Chiesa di S. Trofimena. Addolorato e disperato per la perdita delle reliquie non celebrava più messa, conducendo la chiesa tutta in uno stato di profonda desolazione. Un giorno nelle prime ore del mattino vide la Beata Vergine Trofimena che lo rimproverò per la sua negligenza, invitandolo allo stesso tempo a celebrare messa, perché anche se il suo corpo era stato trafugato, il suo spirito continuava a dimorare in quel luogo.

Il terzo capitolo dell’Historia riporta, tra le altre cose, una delle prime attestazioni sull’esistenza della Scuola Medica Salernitana. Al tempo del prefetto Pulcari, che governò Amalfi tra l’874 e l’883, una fanciulla di nome Teodonanda, concessa in sposa ad un uomo di nome Mauro, versava in gravi condizioni di salute. Fu portata a Salerno, città in cui, operava l’archiatro Gerolamo, famoso per le sue competenze mediche. Nonostante il supporto di numerosi “immensa volumina”, (un dato che conferma la presenza di una fornita biblioteca medica), non fu in grado di curare la giovane fanciulla. Di ritorno a Minori il marito Mauro decise di condurla nella basilica di S. Trofimena, l’adagiò la vicino all’altare consacrato alla vergine, consegnandola nelle mani di una monaca di nome Agata. Mentre la pia donna assorta in preghiera davanti all’altare della Santa cadde in un sonno profondo, Teodonanda si alzò da sola e si avviò verso il fiume Reginna, qui le apparve una fanciulla che la invitò a ritornare in chiesa e continuare a pregare. Dopo aver fatto ritorno in chiesa confidò alla monaca di aver avuto una visione di S. Trofimena. La donna notò che il pavimento vicino all’altare cominciò a trasudare un olio profumatissimo, ordinò quindi alla fanciulla di spogliarsi delle sue vesti e cospargersi con quell’olio. Teodonanda obbedì e fu guarita di tutti i suoi mali.

Dal 13 luglio dell’839 il corpo della Martire venne conservato nel luogo posto al di sotto dell’altare eretto nella sua cappella. Col passare dei secoli si perse la memoria del luogo della tumulazione. Quando alla metà del XVIII secolo iniziarono i lavori di ricostruzione della nuova cattedrale, si sentì la necessità di riportare alla luce le reliquie di S. Trofimena. Nella notte tra il 26 e 27 novembre 1793 alcuni devoti minoresi entrando furtivamente in chiesa e scavando nel luogo indicato dalla tradizione trovarono nuovamente le sacre reliquie. Il 27 novembre il popolo di Minori festeggia quindi l’anniversario del II ritrovamento.



















Per Santa Febronia di Patti

Tratto da

http://www.santiebeati.it/dettaglio/90988

La vita

Patti è uno dei pochi Comuni della nostra Diocesi che ha l’onore di annoverare tra i propri concittadini una giovane eccelsa per santità, a cui ha dato i natali e che si gloria di avere come Patrona: la Vergine e Martire Santa Febronia.
Secondo un'antichissima tradizione orale Santa Febronia visse agli inizi del quarto secolo dopo Cristo e subì il martirio sotto l’imperatore Diocleziano. Pur appartenendo ad una famiglia agiata di origine pagana, conobbe la fede cristiana e fu battezzata dal vescovo S. Agatone ad una fonte, divenuta poi miracolosa, situata in una località detta per questo “Acqua Santa”.
La giovane Febronia, abbandonato il paganesimo, si consacrò a Cristo Gesù facendo voto di verginità e, a causa di questa scelta, dovette subire angherie di ogni genere da parte del padre, che già aveva in serbo per lei altri progetti di vita.
Per sfuggire infine alla collera paterna si nascose presso le grotte del Mons Iovis, presso l’attuale località di Mongiove. Ma il padre, scopertone il rifugio, la raggiunse e, accecato dall’odio per la fede cristiana, la uccise gettandone il corpo in balia delle onde.

Il culto

Il corpo della giovane martire, trasportato prodigiosamente dal mare, fu rinvenuto da una lavandaia sulla spiaggia di Minori (Salerno), località marinara della costiera Amalfitana. Da qui la devozione verso la nostra Santa si diffuse rapidamente fra gli abitanti della regione che, per quanto l’abbiano chiamata Trofimena a causa di alterne vicende storiche, ne hanno sempre affermato il legame con la nostra città di Patti.
La città di Patti, che custodisce in un’artistica urna argentea, conservata in Cattedrale, alcune reliquie della Santa Concittadina, donate in varie circostanze dai Minoresi, venera come sua celeste Patrona S. Febronia e ne ha più volte sperimentato la potente intercessione in circostanze drammatiche. Tra queste ricordiamo la liberazione dalla peste (XVI sec.) e dalla tirannia di Ascanio Anzalone (1656) e la protezione della popolazione in occasione dei violenti terremoti del 1693, 1908 e 1978.















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