Santo
Agatone e Santa Trifina martiri in Sicilia
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/60900
Il
Martirologio geronimiano commemora il 5 luglio i martiri Agatone e Trifina in
Sicilia, senza aggiungere altro. La notizia passò di lì nei martirologi
storici, in vari manoscritti siciliani e nel Martirologio romano. Di questi
martiri tutto è ignoto eccetto le scarse notizie forniteci dai martirologi. Il
Lanzoni ha supposto che sotto il nome di Agatone sia da riconoscere "la
celebre martire di Catania Agathenis..., trasformata in Agathonis da un
imperito copista", ipotesi accolta anche dal Delehaye nel commentario al
Martirologio geronimiano. Si è pure pensato che il martire Agatone potrebbe
identificarsi con Agatone I, vescovo di Lipari, di cui si parla negli Atti dei
ss. Alfio, Filadelfio e Cirino, il quale, fuggendo per salvarsi dalla
persecuzione, si recò a Lentini, dove visse nascosto in una grotta presso la
città assieme ad Alessandro, vecchio persecutore convertito; questa
supposizione sembra tuttavia improbabile, poiché gli autori dei martirologi non
hanno conosciuto gli atti dei tre martiri venuti in Occidente dalla Sicilia,
attraverso l'Oriente. Sicché le conclusioni che oggi si possono presentare alla
critica non sono lontane da quanto diceva il Caetani nel Seicento, cioè che,
nonostante tutti gli sforzi per identificare questo martire.nulla è sicuro
Nello
specifico Agatone di Lipari accolse nel 264 a Lipari il corpo
dell'apostolo Bartolomeo e lo glorificò patrono delle Eolie
Tratto
da
http://www.ilgiornale.it/news/agatone-e-trifina.html
Poiché in greco significa
«buono», potete immaginare quanto fosse diffuso il primo nome in antico. E
quanto, dunque, sia presente negli annali della santità. In tutte le sue
variazioni: Agata, Agatone, Agatonico, Agatonice, Agatoclia, Agatopo,
Agatodoro. Agatemero, Agatangelo... Tant’è che, per distinguerlo, il santo di oggi deve essere associato
con s. Trifina. Infatti, nei martirologi sono menzionati sempre insieme.
Perché? Non si sa. L’unica
informazione in nostro possesso è che i due sono venerati in Sicilia come
martiri. Ma furono martiri in Sicilia o della Sicilia? Anche questo non lo
sappiamo. Forse - ma molto forse - si può identificare, come fa qualche
storico, s. Agatone con s. Agatone I, vescovo di Lipari, menzionato nelle
biografie dei fratelli martiri ss. Alfio, Filadelfo e Cirino. In questo caso saremmo
al tempo della persecuzione scatenata dall’imperatore Decio e continuata col successore Valeriano. Il
funzionario Diomede diede la caccia ad Agatone, che scappò a Lentini. Qui,
però, comandava Tertullo, che non andava per le spicce con i cristiani. Agatone
si rifugiò in una grotta. Ma il segretario di Tertullo, Alessandro, era amico
dei cristiani e si fece indicare dove stava Agatone. Lo raggiunse e per due
anni si fece istruire da lui. Agatone lo battezzò col nome di Neofito e lo
ordinò sacerdote. Morto Tertullo, il suo ex segretario divenne vescovo di
Lentini. Quanto ad Agatone, non sappiamo se sia rimasto a Lentini o abbia fatto
ritorno a Lipari. Su s. Trifina, poi, il buio è davvero totale. Altrettante
tenebre gravano, infine, sul rispettivo martirio.
Santa
Trofimena martire siciliana ai tempi della persecuzione di Diocleziano
Con il nome di Martire Febronia è
venerata a Patti il 5 luglio
TRATTO da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/91592
Santa
Trofimena, santa d'origine siciliana, di Patti (ME) omologa di Santa Febronia,
che si venera a Minori (SA) in Costiera Amalfitana. L'agiografia è piuttosto
contorta, la leggenda vuole che fu martirizzata ancora fanciulla, intorno ai 12
/13 anni per mano dello stesso padre, poiché desiderosa di battezzarsi e di
abbracciare la fede cristiana, si racconta di una visione di un angelo che le
annuncia la consacrazione a Cristo e l'imminente martirio, e contraria alle
nozze con il prescelto indicato dalla famiglia. Il corpo fu affidato alla
custodia di un urna e gettato in mare, le correnti la spinsero sino alle coste
salernitane e precisamente a Minori. L'urna ritrovata dalla popolazione
minorese fu fatta trasportare da una pariglia di giovenche, ma arrivati al
punto dove oggigiorno sorge la chiesa a lei dedicata, gli animali non vollero
assolutamente proseguire, pertanto i minoresi interpretarono ciò come il
segnale divino della scelta del luogo ove erigere la suddetta chiesa.
La fonte principale della leggenda
agiografica di S. Trofimena è rappresentata dal testo dal titolo Historia
Inventionis ac Traslazioni et Miracula Sanctae Trofimenis, redatto in scrittura
beneventana e conservato in un codice databile ai primi decenni del X secolo.
L’autore, purtroppo anonimo, stando agli studi di Massimo Oldoni, potrebbe
essere un presbitero di origine minorese o, più verosimilmente, longobarda .
Fino al 1658 il codice fu conservato nell’Archivio Vescovile di Minori,
successivamente l’erudito scalese Giovanni Battista d’Afflitto lo inviò all’Ughelli
che ne trascrisse il testo, pubblicandolo nella sua Italia Sacra , contribuendo
in modo determinante alla perdita definitiva .
Scritto in forma di sermone rivolto
al fedele, il testo dell’Historia è diviso in tre capitoli: nel primo sono
narrate le vicende legate all’invenzione del corpo di S. Trofimena sulla
spiaggia di Minori, evento che la tradizione popolare riconduce al 5 novembre
del 640. Come l’urna sia giunta a Minori è difficile stabilirlo, l’anonimo
agiografo pone l’accento sull’intervento di un angelo, che guidò l’urna dalle
coste siciliane fino a Minori. Qui l’urna restò incustodita per un periodo
imprecisato, fino a quando l’attenzione della popolazione locale fu catturata
da una lavandaia del luogo recatasi presso la foce del fiume Reginna con
l’intento di lavare i suoi panni. Nel battere gli stessi su una lastra di marmo
restò con le braccia paralizzate, punita per aver disturbato il riposo terreno
della Martire. Immediatamente accorsero i sacerdoti della città, i quali dopo
aver identificato in quell’urna marmorea il sarcofago di una martire cristiana,
decisero di traslarla in un luogo più sicuro. Nel tentativo di scoprire la sua
identità notarono questi versi scolpiti sul marmo: “Tu che cerchi di conoscere
i motivi dell’arrivo di quest’urna sappi che qui riposano le membra pie e
intatte del corpo di Trofimena Martire e Vergine, Ella, fin quando durarono i
costumi di un tempo scellerato, evitò i falsi idoli del mondo sfuggendo, come devota
fanciulla, ai genitori siciliani. Riposò in mezzo al mare, offrì le membra ai
Minoresi e l’anima a Dio. Di qui è andata a godere tra i profumati spazi di
Cristo”.
Questi versi rappresentano le uniche
notizie storiche sull’origine di S. Trofimena. Molte informazioni sono lasciate
in ombra, come per esempio l’anno di nascita, l’anno del dies natalis e la
città d’origine. Queste lacune storiche furono colmate in età moderna dalle
ricerche dell’umanista Quinto Mario Corrado, basate sull’analisi dei dati desunti
da una ricerca demoscopica.
La narrazione prosegue con
l’intervento del vescovo amalfitano Pietro e con la prima traslazione delle
reliquie. Di fronte all’impossibilità di spostare la piccola urna
marmorea il presule amalfitano decise di farla trainare da due giovenche
bianche, che non fossero state ancora sottoposte al giogo. Attraverso questo
espediente le spoglie furono traslate, con una solenne processione, dalla
spiaggia al luogo dove attualmente sorge la Basilica di S. Trofimena. Furono
tumulate sotto una struttura ad incasso, disposta su tre livelli, sub tribus
cameris mire constructis, reperiunt sanctam Christi Martyrirem illibatam in suo
locello, al di sopra della quale fu eretto il primo altare e una prima chiesa.
Qui il corpo rimase fino all’838,
fino a quando l’esercito longobardo minacciò direttamente la sicurezza delle
città del Ducato Amalfitano.
Il secondo capitolo si apre quindi
con la narrazione delle vicende che hanno come protagonista il principe
beneventano Sicardo e il vescovo amalfitano Pietro II. Nell’autunno dell’838, i
territori del Ducato di Amalfi subirono il saccheggio da parte delle truppe
longobarde, guidate da Sicardo, figlio di Sicone ed erede di una politica
religiosa che ebbe, tra i suoi obbiettivi, l’acquisizione di un numero
consistente di reliquie di martiri cristiani. Il vescovo amalfitano Pietro II
decise quindi di far traslare le reliquie di S. Trofimena da Minori ad Amalfi,
considerato un luogo più sicuro.
Le imbarcazioni guidate dal vescovo
condussero quindi il corpo di S: Trofimena ad Amalfi, dove fu collocato nella
chiesa dedicata alla Vergine, l’attuale chiesa del Crocefisso. Otto giorni dopo
questo avvenimento al vescovo apparve in sogno S. Trofimena, avvolta in un
mantello rosso, seguita da altre vergini, la quale con voce minacciosa gli
predisse un’imminente morte, accusandolo di aver profanato e condotto il
suo corpo lontano da Minori. Per le sue colpe la Martire gli predisse una morte
improvvisa seguita dalla straziante visione del suo cadavere strappato dal suo
sepolcro e divorato dai cani; cosa che avvenne poco tempo dopo in occasione del
saccheggio della città di Amalfi da parte dei longobardi di Sicardo.
Le reliquie di S. Trofimena furono
trafugate e portate a Benevento. In breve tempo il culto si diffuse anche nelle
province longobarde, come dimostra la scelta del vescovo Orso, il quale di
fronte alla richiesta di restituzione del corpo, inoltrata dai Minoresi nel
giugno dell’839, dopo la morte del principe Sicardo, decise di restituire
soltanto una metà del corpo, l’altra metà restò dunque a Benevento. Tale scelta
fu dettata, con ogni probabilità, dalla volontà di non privare la sua chiesa di
un tesoro divenuto ormai prezioso.
Il corpo di S: Trofimena fece quindi
ritorno a Minori il 13 luglio dell’839, dopo aver sostato la notte precedente
nella città di Salerno, sede di un’importante e numerosa colonia di mercanti
amalfitani. Ad attenderlo l’intera popolazione locale, in “una giornata di sole
sfolgorante”, che accompagnò in processione il sacro corpo, riponendolo nel
luogo scelto dalla Santa per il suo riposo terreno.
La terza ed ultima parte narra,
infine, dei miracoli operati per intercessione della Martire, come nel caso del
sacerdote napoletano Mauro colpito da apoplessia e guarito dopo aver toccato il
corpo della Martire di ritorno da Benevento. La vicenda che ben descrive la
desolazione e la stato di completo abbandono in cui versava la città di Minori
dopo il trafugamento delle reliquie è quella che narra le vicende del sacerdote
Costantino, custode e guardiano della Chiesa di S. Trofimena. Addolorato e
disperato per la perdita delle reliquie non celebrava più messa, conducendo la
chiesa tutta in uno stato di profonda desolazione. Un giorno nelle prime ore
del mattino vide la Beata Vergine Trofimena che lo rimproverò per la sua
negligenza, invitandolo allo stesso tempo a celebrare messa, perché anche se il
suo corpo era stato trafugato, il suo spirito continuava a dimorare in quel
luogo.
Il terzo capitolo dell’Historia
riporta, tra le altre cose, una delle prime attestazioni sull’esistenza della
Scuola Medica Salernitana. Al tempo del prefetto Pulcari, che governò Amalfi
tra l’874 e l’883, una fanciulla di nome Teodonanda, concessa in sposa ad un
uomo di nome Mauro, versava in gravi condizioni di salute. Fu portata a
Salerno, città in cui, operava l’archiatro Gerolamo, famoso per le sue
competenze mediche. Nonostante il supporto di numerosi “immensa volumina”, (un
dato che conferma la presenza di una fornita biblioteca medica), non fu in
grado di curare la giovane fanciulla. Di ritorno a Minori il marito Mauro
decise di condurla nella basilica di S. Trofimena, l’adagiò la vicino
all’altare consacrato alla vergine, consegnandola nelle mani di una monaca di
nome Agata. Mentre la pia donna assorta in preghiera davanti all’altare della
Santa cadde in un sonno profondo, Teodonanda si alzò da sola e si avviò verso
il fiume Reginna, qui le apparve una fanciulla che la invitò a ritornare in
chiesa e continuare a pregare. Dopo aver fatto ritorno in chiesa confidò alla
monaca di aver avuto una visione di S. Trofimena. La donna notò che il
pavimento vicino all’altare cominciò a trasudare un olio profumatissimo, ordinò
quindi alla fanciulla di spogliarsi delle sue vesti e cospargersi con
quell’olio. Teodonanda obbedì e fu guarita di tutti i suoi mali.
Dal 13 luglio dell’839 il corpo
della Martire venne conservato nel luogo posto al di sotto dell’altare eretto
nella sua cappella. Col passare dei secoli si perse la memoria del luogo della
tumulazione. Quando alla metà del XVIII secolo iniziarono i lavori di
ricostruzione della nuova cattedrale, si sentì la necessità di riportare alla
luce le reliquie di S. Trofimena. Nella notte tra il 26 e 27 novembre 1793
alcuni devoti minoresi entrando furtivamente in chiesa e scavando nel luogo
indicato dalla tradizione trovarono nuovamente le sacre reliquie. Il 27
novembre il popolo di Minori festeggia quindi l’anniversario del II
ritrovamento.
Per Santa
Febronia di Patti
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/90988
La
vita
Patti è uno dei pochi Comuni della nostra Diocesi che ha l’onore di annoverare tra i propri concittadini una giovane eccelsa per santità, a cui ha dato i natali e che si gloria di avere come Patrona: la Vergine e Martire Santa Febronia.
Secondo un'antichissima tradizione orale Santa Febronia visse agli inizi del quarto secolo dopo Cristo e subì il martirio sotto l’imperatore Diocleziano. Pur appartenendo ad una famiglia agiata di origine pagana, conobbe la fede cristiana e fu battezzata dal vescovo S. Agatone ad una fonte, divenuta poi miracolosa, situata in una località detta per questo “Acqua Santa”.
La giovane Febronia, abbandonato il paganesimo, si consacrò a Cristo Gesù facendo voto di verginità e, a causa di questa scelta, dovette subire angherie di ogni genere da parte del padre, che già aveva in serbo per lei altri progetti di vita.
Per sfuggire infine alla collera paterna si nascose presso le grotte del Mons Iovis, presso l’attuale località di Mongiove. Ma il padre, scopertone il rifugio, la raggiunse e, accecato dall’odio per la fede cristiana, la uccise gettandone il corpo in balia delle onde.
Il culto
Il corpo della giovane martire, trasportato prodigiosamente dal mare, fu rinvenuto da una lavandaia sulla spiaggia di Minori (Salerno), località marinara della costiera Amalfitana. Da qui la devozione verso la nostra Santa si diffuse rapidamente fra gli abitanti della regione che, per quanto l’abbiano chiamata Trofimena a causa di alterne vicende storiche, ne hanno sempre affermato il legame con la nostra città di Patti.
La città di Patti, che custodisce in un’artistica urna argentea, conservata in Cattedrale, alcune reliquie della Santa Concittadina, donate in varie circostanze dai Minoresi, venera come sua celeste Patrona S. Febronia e ne ha più volte sperimentato la potente intercessione in circostanze drammatiche. Tra queste ricordiamo la liberazione dalla peste (XVI sec.) e dalla tirannia di Ascanio Anzalone (1656) e la protezione della popolazione in occasione dei violenti terremoti del 1693, 1908 e 1978.
Patti è uno dei pochi Comuni della nostra Diocesi che ha l’onore di annoverare tra i propri concittadini una giovane eccelsa per santità, a cui ha dato i natali e che si gloria di avere come Patrona: la Vergine e Martire Santa Febronia.
Secondo un'antichissima tradizione orale Santa Febronia visse agli inizi del quarto secolo dopo Cristo e subì il martirio sotto l’imperatore Diocleziano. Pur appartenendo ad una famiglia agiata di origine pagana, conobbe la fede cristiana e fu battezzata dal vescovo S. Agatone ad una fonte, divenuta poi miracolosa, situata in una località detta per questo “Acqua Santa”.
La giovane Febronia, abbandonato il paganesimo, si consacrò a Cristo Gesù facendo voto di verginità e, a causa di questa scelta, dovette subire angherie di ogni genere da parte del padre, che già aveva in serbo per lei altri progetti di vita.
Per sfuggire infine alla collera paterna si nascose presso le grotte del Mons Iovis, presso l’attuale località di Mongiove. Ma il padre, scopertone il rifugio, la raggiunse e, accecato dall’odio per la fede cristiana, la uccise gettandone il corpo in balia delle onde.
Il culto
Il corpo della giovane martire, trasportato prodigiosamente dal mare, fu rinvenuto da una lavandaia sulla spiaggia di Minori (Salerno), località marinara della costiera Amalfitana. Da qui la devozione verso la nostra Santa si diffuse rapidamente fra gli abitanti della regione che, per quanto l’abbiano chiamata Trofimena a causa di alterne vicende storiche, ne hanno sempre affermato il legame con la nostra città di Patti.
La città di Patti, che custodisce in un’artistica urna argentea, conservata in Cattedrale, alcune reliquie della Santa Concittadina, donate in varie circostanze dai Minoresi, venera come sua celeste Patrona S. Febronia e ne ha più volte sperimentato la potente intercessione in circostanze drammatiche. Tra queste ricordiamo la liberazione dalla peste (XVI sec.) e dalla tirannia di Ascanio Anzalone (1656) e la protezione della popolazione in occasione dei violenti terremoti del 1693, 1908 e 1978.
Leggere
anche
Nessun commento:
Posta un commento