L'icona di San Calogero nell'omonima grotta a Sciacca
Santo Calogero
di nazionalità Greca eremita a Sciacca in Sicilia
Le notizie sulla sua vita sono così
confuse tanto che si è pensato che potessero riferirsi a più santi con lo
stesso nome. Con il nome Calogero che etimologicamente significa " bel
vecchio " venivano infatti designate quelle persone che vivevano da
eremiti. E Calogero è venerato in Sicilia presso Sciacca, nel monastero di
Fregalà presso Messina, e in altre città. L'unica cosa sicura su di lui è
l'esistenza in Sicilia di un santo eremita, con poteri taumaturgici. A Fragalà
è stata scoperta alla testimonianza più antica legata al suo culto, alcune odi
scritte nel IX secolo da un monaco di nome Sergio, da cui risulterebbe che
Calogero proveniva da Cartagine e morì nei pressi di Lilibeo. le lezioni
dell'Uffizio, stampate nel 1610, lo dicono invece proveniente da Costantinopoli
ed eremita sul monte Gemmariano
Tratto da
http://www.santiebeati.it/dettaglio/58100
Secondo
la tradizione, giacché mancano documentazioni certe, Calogero nacque verso il
466 a Calcedonia sul Bosforo, una cittadina dell’antica Tracia, che nel 46 d.C.
divenne provincia romana e che poi seguì le sorti dell’impero bizantino; fin da
bambino digiunava, pregava e studiava la Sacra Scrittura e secondo gli ‘Atti’
presi dall’antico Breviario siculo-gallicano, in uso in Sicilia dal IX secolo
fino al XVI, egli giunse a Roma in pellegrinaggio, ricevendo dal papa Felice
III (483-492), il permesso di vivere in solitudine in un luogo imprecisato.
Qui egli ebbe una visione angelica o un’ispirazione celeste, che gli indicava
di evangelizzare la Sicilia; tornato dal papa ottenne l’autorizzazione di
recarsi nell’isola, con i compagni Filippo, Onofrio e Archileone, per liberare
quel popolo dai demoni e dall’adorazione degli dei pagani.
Mentre Filippo si recò ad Agira e Onofrio e Archileone si diressero a Paternò,
Calogero si fermò durante il viaggio a Lipari, nelle Isole Eolie, dove su
invito degli abitanti si trattenne per qualche anno, predicando il Vangelo ed
insegnando loro come ricevere i benefici per i loro malanni, utilizzando le
acque termali e stufe vaporose; ancora oggi un’importante sorgente termale
porta il suo nome, come pure le grotte dai vapori benefici.
Durante la sua permanenza nell’isola di Lipari, ebbe anche la visione della
morte del re Teodorico († 526) che negli ultimi anni aveva preso a perseguitare
quei latini che riteneva un pericolo per il suo regno, fra i quali furono
vittime il filosofo Boezio (480-524) suo consigliere, il patrizio romano capo
del Senato, Simmaco († 524) e il papa Giovanni I († 526).
Ciò è riportato nei ‘Dialoghi’ del papa s. Gregorio I Magno, la visione si era
avverata nell’esatto giorno ed ora della morte del re, e Calogero vide la sua
anima scaraventata nel cratere del vicino Vulcano.
In seguito ad altra visione, Calogero lasciò Lipari per sbarcare in Sicilia a
Syac (Sciacca), chiamata dai romani ‘Thermae’ per i bagni termali, presso i
quali sorgeva; convertì gli abitanti e poi decise di cacciare per sempre “le
potenze infernali” che regnavano sul vicino monte Kronios, consacrato al dio
greco Kronos, che per i romani era il dio Saturno.
Sul monte Giummariaro, altro nome derivante dagli arabi che lo chiamarono monte
“delle Giummare”, dalle palme nane che crescevano sui suoi fianchi e che poi
prese il nome di Monte San Calogero, come oggi è conosciuto insieme al nome
Cronio, il santo eremita prese ad abitare in grotte e spelonche e intimò ai
demoni di lasciare quei luoghi.
Gli ‘Atti’ dicono che il monte sussultò fra il fragore di urla e poi tutto si
quietò in una pace di paradiso; Calogero si sistemò in una grotta adiacente a
quelle vaporose, che come a Lipari, anche qui esistono abbondanti.
In detta grotta vi è murata sulla roccia, l’immagine in maiolica di s.
Calogero, posta sopra un rustico altare, che si dice costruito da lui stesso;
l’immagine è del 1545 e rappresenta l’eremita con la barba che tiene nella mano
destra un libro e un ramo-bastone, ai suoi piedi vi è un fedele inginocchiato e
una cerbiatta accasciata e ferita da una freccia.
L’immagine si rifà ad un episodio degli ultimi suoi giorni, essendo ormai
ultranovantenne, egli non riusciva più a cibarsi, per cui Dio gli mandò una
cerva, che con il suo delicato latte lo alimentava; un giorno un cacciatore di
nome Siero, scorgendo l’animale, prese l’arco e trafisse con una freccia la
cerva, la quale riuscì a trascinarsi all’interno della grotta di Calogero,
morendo fra le sue braccia.
Il cacciatore pentito e piangente, riconobbe nel vegliardo colui che l’aveva
battezzato anni prima, chiese perdono e Calogero lo portò nella vicina grotta
vaporosa, dandogli istruzioni per le proprietà curative di quel vapore e delle
acque che sgorgavano da quel monte. Il cacciatore Siero, divenuto suo
discepolo, salì spesso sul monte a visitarlo, ma 40 giorni dopo l’uccisione
della cerva, trovò il vecchio eremita morto, ancora in ginocchio davanti
all’altare; secondo la tradizione era morto nella grotta fra il 17 e il 18
giugno 561 ed era vissuto in quel luogo per 35 anni.
Diffusasi la notizia accorsero gli abitanti delle cittadine vicine, che lo
seppellirono nella grotta stessa, poi trasferito in altra caverna di cui si è
persa la memoria lungo i secoli.
Nel IX secolo un monaco che si firmava Sergio Cronista, cioè abitante del monte
Cronios o Kronios, compose in lingua greca alcuni inni in suo onore, in cui
veniva citato che s. Calogero non era approdato a Sciacca come si riteneva, ma
a Lilybeo, l’odierna Marsala, senza indicare dove fosse morto, ma sollecitando
a visitare e onorare la grotta in cui il santo era vissuto, scacciando i demoni
e operando tante guarigioni di ammalati.
Uno studioso contemporaneo Francesco Terrizzi, sostiene che s. Calogero,
perduti i compagni martirizzati dai Vandali, si recò dapprima a Palermo
passando poi per Salemi, Termini Imerese, Fragalà, Lipari, Lentini, Agrigento,
Naro e infine Sciacca; si spiegherebbe così le tante tradizioni e le diverse
grotte abitate e attribuite ad un unico e medesimo santo.
C’è da aggiungere che le reliquie del santo, secondo un’altra tradizione, erano
state successivamente trasferite in un monastero a tre km dalla grotta, nel
1490 furono traslate a Fragalà (Messina) dal monaco basiliano Urbano da Naso e
poi nell’800 a Frazzanò (Messina), nella chiesa parrocchiale; qualche sua
reliquia è custodita anche nel santuario di San Calogero, sorto vicino alla sua
grotta sull’omonimo monte di Sciacca nel XVII secolo e che è meta di
pellegrinaggi.
Ad ogni modo s. Calogero è veneratissimo in tutta la Sicilia e in tutte le
città sopra citate è onorato con suggestive processioni e celebrazioni, tipiche
della religiosità intensa dei siciliani, quasi tutte si svolgono nel giorno
della sua festa il 18 giugno.
Tratto da
https://siciliaisoladaamare.wordpress.com/la-figura-di-san-calogero-di-pellegrino-mortillaro/
Particolarmente
venerata è, a Sciacca, la figura dell’eremita Calogero per il fatto che nel
territorio di Sciacca egli si soffermò a lungo, morendovi nell’anno 561 dopo 35
anni di permanenza sul Monte Cronio, monte che in suo ricordo prende anche la
denominazione di Monte San Calogero.
La sua
vicenda si snoda alla fine del V secolo, periodo in cui la religione cristiana,
pur essendo penetrata nell’interno della Sicilia secondo le direttrici
Catania-Gela e Siracusa-Agrigento, stentava a consolidarsi ad ovest di tali
zone. Si colloca proprio in questo contesto l’arrivo a Sciacca di San Calogero,
la cui azione di apostolato fu fondamentale per la diffusione del cristianesimo
in questa parte dell’isola.
I pochi
documenti sulla sua figura si fondano soprattutto sugli Inni del monaco Sergio
del secolo IX: essi risalgono al tempo dell’invasione musulmana e sono stati
ritrovati nel 1600 in un vecchio codice nel monastero basiliano di S. Filippo
di Fragalà, in provincia di Messina. Tali documenti indicano Calogero profugo
in Sicilia da Calcedonia (città sullo Stretto del Bosforo, di fronte a
Costantinopoli). Dopo le persecuzioni dei primi secoli, si andavano diffondendo
nel quarto secolo le eresie circa la divinità e la natura stessa del Cristo,
sicché, dopo una serie di altri Concilii, proprio a Calcedonia si era tenuto il
Concilio del 451: qui furono prese in esame le empie dottrine del vescovo Ario,
secondo cui Cristo altri non era che una semplice creatura umana, per quanto
vicina a Dio. Le tensioni religiose furono ulteriormente aggravate dalla caduta
dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 e dalla rottura dei rapporti del
Patriarca di Costantinopoli col Papa, sfociata nello scisma del 483- 518 e
nella persecuzione di quei vescovi che non vollero sottomettersi alla volontà
del Patriarca. Fu proprio in questo clima arroventato che nacque, anche se non
sappiamo la data precisa, San Calogero. Dopo i fatti accennati, non potendo più
professare tranquillamente la fede cattolica, un gruppo di fedeli, di cui
facevano parte Calogero (che non apparteneva alla gerarchia ecclesiatica),
Gregorio e Demetrio (indicati come vescovo e diacono), si diresse in Sicilia e
sbarcò a Lilibeo (Marsala). La scelta del luogo fu sicuramente dettata dal
fatto che il vescovo di questa città era stato il Presidente del Concilio di
Calcedonia e, pertanto, in questa sede si era certi di trovare quella devozione
alla Santa Trinità che era stata affermata in quel Concilio. Oltretutto la
Sicilia nel 491-496 sotto Teodorico viveva uno stato di relativa calma dopo la
ferocia bestiale delle incursioni vandale del 440 e di quelle che si succedettero
dal 455 al 533, salvo la pausa prima accennata.
Una volta in
Sicilia, Gregorio rimase a Lilibeo col suo diacono (poi cadranno martirizzati
dalle scorrerie dei Vandali), mentre Calogero iniziò la sua opera di
evangelizzazione spostandosi tra Salemi, Palermo, Termini Imerese, Fragalà,
Lipari, Lentini, Agrigento, Naro e Sciacca, lasciando ovunque il segno del suo
passaggio, come testimoniano le tante grotte e località legate al suo nome,
tanto che si diffuse la credenza che ci siano stati più di un Santo con questo
nome. Addirittura in qualche posto come Agrigento, Naro, Campofranco, S.
Salvatore di Fitalia (dove è patrono) si parla di un “Nero Taumaturgo”,
definito erroneamente “nero” sol perché creduto proveniente dall’Africa. Del
resto la mancanza di documenti fino al 1600, quando furono trovati gli Inni di
Sergio, favorì certamente qualche falsa credenza.
Sempre
secondo i già citati Atti, San Calogero, dopo 35 anni di permanenza sul monte,
stremato dalle fatiche, dagli anni, dai digiuni e dalle penitenze, si chiuse in
isolamento, cibandosi solo del latte della cerva che “l’arciere Sierio”
inconsapevolmente uccise. Calogero sopravvisse ancora 40 giorni alla perdita
dell’animale, finché Sierio lo trovò morto la sera del 17 giugno del 561. La
salma del Santo fu seppellita dagli abitanti di Sciacca nella stessa grotta che
lui aveva abitato e a continuarne l’opera rimase, come suo successore e suo
erede spirituale, lo stesso Sierio.
CANONE A SAN CALOGERO
di Sergio monaco
Il cui acrostico è:
”
“O Padre
Calogero il monaco Sergio ti offre questo inno epodico.”
sta in
http://padridellachiesa.blogspot.it/2014/06/18-giugno-saint-caloger-calocere.html
tratto da
https://santiebeatidisicilia.wordpress.com/c/calogero-santo-eremita/
Racconta una
leggenda che un cacciatore di Naro, in Sicilia, inseguendo una cerva ferita,
capitò in una grotta dove viveva un vecchio nero come la pece. L’eremita disse
di essere Calogero, fratello di Diego e Gerlando, due santi venerati
rispettivamente a Canicattì e ad Agrigento.
Per desiderio
espresso di Calogero (il nome nella etimologia greca vuol dire semplicemente
“bel vecchio”, e con questo appellativo venivano indicati gli eremiti), il
cacciatore tacque per alcuni anni la notizia; poi quando gli abitanti di Naro
si recarono in processione alla grotta, del santo eremita trovarono soltanto le
ossa.
Ma ad
Agrigento, smentendo in parte la leggenda di Naro, si parla addirittura di
quattro santi eremiti col nome di Calogero, patroni di Naro, di Agrigento, di
Licata e di Sciacca. Al dire di un antico ritornello, i quattro non sarebbero
ugualmente ben disposti a concedere grazie ai devoti, giacché ” S. Caloiru di
Girgenti, li grazii li fa pri nienti; – S. Caloiru di Naru, li fa sempri pri
dinaru “, il patrono di Agrigento le grazie le fa per niente, mentre quello di
Naro le fa sempre per denaro!
Il santuario
più rinomato e più popolare per il culto di S. Calogero è quello di Gemmariaro,
o Cronio, un monte a ridosso della cittadina termale di Sciacca.
A Fragalà, in
provincia di Messina, è stata scoperta la testimonianza più antica del culto di
S. Calogero: alcune odi, scritte da un monaco di nome Sergio, del IX secolo,
nelle quali si parla di un vecchio eremita, vissuto in una spelonca e dotato di
eccezionali poteri taumaturgici contro gli spiriti maligni. S. Calogero sarebbe
arrivato in Sicilia da Cartagine e spinto dal desiderio di appartarsi si
sarebbe celato dentro una spelonca nei pressi di Lilibeo.
Un altro
testo, utilizzato anche dalle lezioni dell’Uftìcio, e concordante
sostanzialmente col precedente, dice che S. Calogero, nativo di Costantinopoli,
dopo una giovinezza trascorsa nello studio della Scrittura e negli esercizi
ascetici, venne a Roma a far visita al papa e da questi ottenne il permesso di vivere
da eremita, in Sicilia, dove si recò in compagnia di Onofrio, Filippo e
Archileone.
Lasciando
proseguire i compagni per Paternò e Agira, Calogero sostò nell’isola di Lipari.
Più tardi, rispondendo al richiamo di una angelica visione, dalle Eolie avrebbe
fatto vela per Sciacca, dove scelse a dimora una grotta sul monte Gemmariaro.
Visse per
altri trentacinque anni, in solitaria meditazione, interrotta di tanto in tanto
per scendere a predicare la parola di Dio in mezzo al popolo, operandovi
prodigi di ogni genere.
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UNA NOTA
BIOGRAFICA CURATA DA ENZO GIUNTA
Il personaggio conosciuto come “San Calogero” probabilmente aveva altro nome.
“Calogeri” 1,
infatti, erano religiosi che seguivano con particolare scrupolo la regola di
San Basilio ed attuavano la vita monastica con estremo rigore, in termini di
penitenze e privazioni. Loro caratteristica era quella di abitare, da eremiti,
sui monti; in particolare, in Grecia, stavano sul monte Atos.
Il nostro
eremita sarebbe un calcedone fuggito in Sicilia, insieme ad altri
cristiani 2, a causa delle persecuzioni degli imperatori Diocleziano e
Massimiano.
Nell’isola,
però, sarebbero stati oggetto di analoghe persecuzioni, conclusesi, per i
compagni di Calogero, con il martirio.
Calogero,
invece, riparò sul monte Eurako 3, oggi San Calogero, dove condusse vita
contemplativa, curando anche l’evangelizzazione del territorio circostante, in
particolare di Terme 4 e di Caccamo.
Secondo la
tradizione durante il suo soggiorno scacciò i diavoli che infestavano il monte,
lasciando impressa l’impronta del suo piede sulla roccia 5 e fece
sgorgare, quasi sulla sommità, una sorgente di acqua limpida, a fronte di
quella amara fatta scaturire dal diavolo. Infine, si sarebbe trasferito sul
monte Cronio, nei pressi di Sciacca, dove morì.
Sulla vetta
della montagna i Termitani costruirono una piccola chiesa a lui dedicata, di
cui oggi sono visibili pochissimi ruderi. Fino alla metà del Novecento, nei
pressi della chiesetta si notava ancora, seppure mutilata, la statua del santo,
scolpita nella pietra, che qualche irresponsabile ha poi buttato nel cosiddetto
ed inaccessibile “canalone del diavolo”.
È bene
precisare che il corpo del San Calogero custodito nel Duomo di Termini Imerese
fin dal 1665 è quello di Calogero Eunuco, messo a morte a Milano nel 253 d.C.,
sotto l’imperatore Decio.
Questi, e non
quello che dimorò a Terme, è annoverato tra gli antichi patroni della
città 6 ed in suo onore, fin dai tempi di Federico II 7, nei
giorni 17/19 giugno si teneva una fera franca 8.
Oggi, il
monte San Calogero ricade tra i territori di Caccamo, Sciara e Termini Imerese,
ma in passato fu motivo di contrasto tra i Signori di Caccamo e la Città
demaniale di Termini.
I Caccamesi,
per esempio, solevano ricordare la festa di San Calogero il 18 giugno di ogni
anno, recandosi, bandiere al vento, sulla sommità del monte e facendo un
chiasso indiavolato, quasi a voler testimoniare il loro diritto sulla
montagna 9.
Tale
comportamento, ovviamente non era gradito ai Termitani i quali, nell’anno 1477,
riuscirono a fare abolire la festa dal Vicerè del tempo.
di ENZO
GIUNTA
NOTE
1 Calogero potrebbe avere
etimologia greca: cioè “buon (o “virtuoso”) vecchio” ovvero “ invecchiato nella
virtù”. Recentemente è stato sostenuto che per i bizantini kalògheros non
era un nome proprio, ma significava “monaco”.
2 Nell’anno 300 d.C.
3 Che con i suoi 1.326 mt.
sovrasta la città e che ha il primato di essere la montagna più alta con le
pendici sul mare, di tutto il Mediterraneo.
4 Questo era, allora, il nome di
Termini Imerese.
5 In base alla versione riferita
da Niccolò Palmeri, i diavoli infestavano le sorgenti termali, impedendo
l’ingresso.
6 La patrona principale è
l’Immacolata, cui si aggiungono anche il Beato Agostino, Santa Marina e Santa
Basilla.
7 Privilegio del giorno 8 giugno
1223.
8 In pratica, in un’area ben
delimitata, si svolgeva una fiera (oggi la chiameremmo “ mercatino”) dove non
si pagavano gabelle.
9 Giuseppe Lo Bianco
Comparato, “Caccamo e la Sicilia”, 1978.
Fonte: http://siciliaisoladaamare.wordpress.com
Leggere anche
Sta in
http://carrettosiciliano.com/carmelo-nicoloso/194-un-ponte-tra-occidente-e-oriente-il-culto-di-san-calogero-in-sicilia
Saint
CALOGER (CALOCERE, CALOYER, CALOCERUS, CALOGERUS), Grec de nation,
ermite à Sciacca près d'Agrigente en Sicile (vers 486). On l'invoque
surtout pour la guérison des énergumènes.